Dieudonné con l’ex presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad

Dieudonné vola da Ahmadinejad e l'Iran rinnova la fatwa a Rushdie

Giulio Meotti

Il più celebre comico francese, Dieudonné, è sotto processo per “apologia del terrorismo” a Parigi. La pubblica accusa ha chiesto una pena di trentamila euro. In un post pubblicato su Facebook l’11 gennaio Dieudonné aveva detto di sentirsi “Charlie Coulibaly”.

Roma. Il più celebre comico francese, Dieudonné, è sotto processo per “apologia del terrorismo” a Parigi. La pubblica accusa ha chiesto una pena di trentamila euro. In un post pubblicato su Facebook l’11 gennaio, mentre milioni di persone scendevano in piazza per rendere omaggio alle diciassette vittime degli attentati a Charlie Hebdo e al supermercato ebraico, Dieudonné aveva detto di sentirsi “Charlie Coulibaly”, associando lo slogan di sostegno al settimanale satirico (“Je suis Charlie”) al nome di Amedy Coulibaly, uno dei tre attentatori che hanno seminato la morte nella capitale francese.

 

E per rimarcare che in Francia non c’è libertà di espressione, che lui è un martire e una vittima di un regime oppressivo e ipocrita, Dieudonné è volato a Teheran, per abbracciare l’ex presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, e consegnargli la quenelle d’oro, il “premio” a forma del suo gesto più noto, una sorta di saluto nazista al rovescio. L’incontro fra Dieudonné e Ahmadinehad è avvenuto il 19 febbraio, ma il Monde ne ha dato notizia soltanto ieri. “Un vecchio amico, un grande artista”. Così l’ex presidente iraniano ha definito l’artista, che ha ricambiato il favore descrivendo l’Iran come “il paese dove la libertà d’espressione esiste davvero”. Il premier francese Manuel Valls accusa Dieudonné di essere finanziato dalla Repubblica Islamica dell’Iran. Ma Valls, si sa, è sotto “influsso ebraico” a causa di una moglie ebrea. A dirlo non è stato Dieudonné, o almeno non soltanto lui, ma un ex ministro degli Esteri socialista, un fedelissimo di Francois Mitterand, Roland Dumas, candidato così a comparire alla corte dei democratici ayatollah, che intanto preparano un grande festival delle vignette sull’Olocausto (inutili le proteste israeliane alle Nazioni Unite). Comunque i soldi dall’Iran Dieudonné li ha presi davvero per realizzare il film “L’Antisemite”, dove appare anche lo storico negazionista Robert Faurisson, anche lui dichiaratosi vittima del regime francese in tema di Shoah. E tanto per ribadire la concezione della libertà di espressione, il regime iraniano ha appena confermato la validità della fatwa che nel 1989 colpì lo scrittore Salman Rushdie. Lo ha fatto dalla città santa di Qom attraverso la voce dell’ayatollah Gharavian, vicino al presidente Rohani: “Rushdie è un mercenario dell’arroganza mondiale.

 

[**Video_box_2**]Sono passati anni da quando Khomeini emise la fatwa, ma il decreto continua a essere valido”. L’Iran dunque torna a rinverdire lo storico editto di morte contro la blasfemia in occidente, quella fatwa trovata nel computer di uno dei fratellio Kouachi, gli attentatori di Charlie Hebdo. Intanto, astuti come nessun altro, gli ayatollah gettano ponti in Europa, ergendosi a paladini della libertà di parola contro gli ipocriti europei succubi degli ebrei. Alla Guida Suprema manca soltanto la bomba nucleare, e anche per quella manca davvero poco. Un capolavoro.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.