Fottersene delle etichette

Claudio Cerasa

Mediaset che ci prova con la Rai. Mondadori che ci prova con Rizzoli. Renzi con Berlusconi. Il Pd che si impossessa dei temi di centrodestra. Giudicare nel merito. Guida a una promettente rivoluzione culturale.

Mettete insieme quello che è successo nell’ultimo mese in politica, in televisione, in Parlamento, nell’editoria, persino in Rai. Mettete insieme quello che è successo in partite molto diverse l’una dall’altra ma perfettamente riconducibili a un’unica logica, a un unico principio, a un unico e innovativo processo culturale. Mettete insieme, notizia di ieri, l’Opa lanciata da Ei Towers, società controllata da Mediaset, su Rai Way, società controllata dal Tesoro. Mettete insieme l’offerta lanciata pochi giorni fa da Mondadori, società controllata dal gruppo Fininvest, stesso gruppo che controlla Mediaset, su un altro grande colosso editoriale che corrisponde al profilo di Rcs Libri. E ancora. Mettete insieme da un lato lo spirito con cui è nato questo governo, la grande coalizione, l’accordo tra Renzi e Berlusconi, e dall’altro alcune riforme portate a casa negli ultimi giorni dall’esecutivo (Jobs Act, responsabilità civile, riforma elettorale).

 

Mettete insieme tutto questo, allargate il campo dell’inquadratura e capirete che nel nostro paese sta succedendo qualcosa che non riguarda solo le alleanze della politica ma che riguarda un processo culturale in cui quello che banalmente viene definito il patto del Nazareno è forse un fenomeno più grande, oseremmo definire post etichetta più che post ideologico, che riguarda il nostro presente e che è la vera cifra stilistica di un passaggio storico: il nostro. Un passaggio in cui, da molti punti di vista, le etichette sono finite perché si giudicano le cose che si devono fare non guidati da un pregiudizio culturale, da ciò che sta bene fare o da ciò che non sta bene fare, ma guidati dal buon senso, semplicemente da ciò che in un momento storico è giusto fare oppure no. Da una parte, è il caso di Mediaset e di Mondadori, il ragionamento è di carattere aziendale, di chi pensa che in un mondo globalizzato, come si dice, non ha senso ragionare con vecchie logiche, della guerra tra guelfi e ghibellini, perché l’obiettivo è crescere per vivere, e sopravvivere, e la razionalizzazione, ovvero mettere insieme le forze, è l’unico modo per farlo, anche a costo di mettere insieme il diavolo e l’acqua santa. E’ un nuovo perimetro, un passaggio epocale, inevitabile, che solo chi ama ricoprirsi gli occhi di affettati può negare e contrastare, e rappresenta una distanza siderale rispetto ad anni in cui esperienze potenzialmente di successo, come quella che nel 2005 poteva mettere insieme Carlo De Benedetti con i figli di Berlusconi all’interno di un fondo salva imprese, non videro la luce per questioni di contesti ambientali. Chi vive all’interno di questo perimetro oggi studia le proposte nel merito, le valuta per quello che valgono, poi magari le rifiuta, ma comunque si osa, si tenta, sapendo che, nel business come nella politica, è chi non accetta la pacificazione del paese a non accettare che guelfi e ghibellini si possano mettere insieme per fare business o addirittura politica (non ci sembra un caso che uno dei più grandi antagonisti delle larghe intese in politica, Bersani, sia uno dei più grandi antagonisti dei possibili merger tra Rizzoli e Mondadori e Mediaset e Rai Way).

 

[**Video_box_2**]E’ uno spazio preciso quello che si intravede osservando da una certa distanza i movimenti del paese ed è uno spazio che ci riporta immediatamente al mondo della politica dove il mood Nazareno vive nonostante il patto sia in attesa di essere riscritto ma dove al governo c’è un presidente del Consiglio che può piacere o non piacere ma sta portando avanti alcune riforme che hanno stampato sulla fiancata il brand della pacificazione, dell’èra post etichette. E non parliamo di tutto ciò che è nato sotto la bandiera del Forza Italicum (legge elettorale, riforme costituzionali) ma parliamo di alcune riforme che Renzi ha avuto il merito di sottrarre all’egemonia culturale del centrodestra (cazzi amari, per il centrodestra) e di cui si è impossessato in un batter di ciglia. Due riforme come la responsabilità civile dei giudici (l’aspettavamo dal 1987) e come la riforma del lavoro (la aspettavamo dai tempi del Circo Massimo) che oggi ha fatto il Pd ma che avrebbe potuto fare anche il centrodestra (e che non ha fatto negli anni di governo). Nel business questo approccio può portare a una crescita economica e alla capacità di un’impresa di competere a livello internazionale. In politica questo approccio può portare a una crescita che coincide con un allargamento del proprio bacino elettorale. Non sarà tutto figlio del Nazareno, lo sappiamo, ma l’èra del Renzi che fa riforme che un tempo erano considerate di destra e l’èra delle aziende che provano a superare l’epoca del guelfo contro il ghibellino sono un segnale preciso e persino incoraggiante. Fine delle etichette, forse. Con la certezza però che i sabotatori oggi esistono e non sono stati ancora esattamente rottamati.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.