In Germania i giornali israeliti adesso arrivano a casa come stampa clandestina. Parla Henryk Broder
La rivista mensile della comunità ebraica di Berlino, lo Jüdisches Berlin, da oggi sarà consegnato agli abbonati come una busta anonima, incelofanata, senza scritte identificative. “Abbiamo deciso di farlo, nonostante i notevoli costi aggiuntivi, per ridurre la probabilità di ostilità nei confronti dei nostri più di diecimila membri della comunità”.
Roma. La rivista mensile della comunità ebraica di Berlino, lo Jüdisches Berlin, da oggi sarà consegnato agli abbonati come una busta anonima, incelofanata, senza scritte identificative. “Abbiamo deciso di farlo, nonostante i notevoli costi aggiuntivi, per ridurre la probabilità di ostilità nei confronti dei nostri più di diecimila membri della comunità”, ha detto il portavoce del quotidiano Ilan Kiesling al giornale Tagesspiegel. In un articolo per l’ultimo numero della rivista, Gideon Joffe, capo della comunità ebraica della capitale, scrive: “Gli israeliani sono picchiati a Berlino per il solo fatto di essere ebrei israeliani. Non siamo ancora – lo ripeto ancora – nella fase in cui gli ebrei vengono uccisi in Germania solo perché sono ebrei. Ma alcune misure devono essere prese per proteggere lo stato di diritto democratico”. Dunque meglio non turbare il vicino di casa antisemita o dare nell’occhio in quanto lettori di ebraico. Il mensile diventa dunque un samizdat, un foglio carbonaro, da consultare soltanto all’interno della propria abitazione. Spaventati dal numero di minacce terroristiche e dagli allarmi, “alcuni avevano già chiamato, sostenendo di voler disdire l’abbonamento”.
Henryk Broder, una delle firme più note del giornalismo tedesco, intellettuale ebreo di origini polacche, editorialista alla Welt dopo una lunga esperienza allo Spiegel, interpreta la decisione della rivista come un segno di capitolazione. “Gli ebrei europei non vogliono prendere il destino nelle proprie mani, amano essere protetti, ma così non capiscono che è come essere perseguitati”, dice Broder al Foglio. “Non credo neppure alle parole rassicuranti che vengono dai leader europei sull’antisemitismo, come Valls e Merkel. E’ una menzogna, in verità hanno paura della popolazione islamica in Europa. Mentre la protezione delle istituzioni ebraiche è amplificata e agli ebrei si consiglia di non essere ‘visibili’ nella sfera pubblica, ‘ebrei su chiamata’ assicurano che si sentono tedeschi a dispetto di tutto. La vita ebraica è stata sempre e ovunque possibile. In Egitto sotto i faraoni, sotto il dominio dei Romani in Palestina, in Spagna, dopo l’editto di espulsione del 1492, e anche nel ghetto di Varsavia, dove c’erano letture e concerti, come Marcel Reich-Ranicki ha descritto nelle sue memorie. E’ quasi tutto possibile. Ma a quali condizioni?”. Secondo Broder, oggi in Europa è possibile soltanto ristabilendo la figura dell’ebreo di corte. “Proprio come nella storia di ‘Süss l’Ebreo’, che divenne consigliere politico alla corte del duca Karl Alexander di Württemberg e finì sulla forca. Nel mondo arabo ci sono stati i ‘dhimmi’, cristiani ed ebrei etichettati come tali e che dovevano pagare una tassa speciale, ma non dovevano temere per la vita fino a quando non si fossero ribellati o avessero chiesto la parità di diritti. Quello a cui stiamo assistendo non è la rinascita della vita ebraica in Germania e in Europa, ma la fine di un esperimento. E’ finita. Non c’è vita dopo la morte. Tolosa era il preludio di Bruxelles, Bruxelles ha portato a Parigi e Copenaghen non sarà l’ultima. E gli ebrei continuano a giocare come al solito. Temono di dover essere costretti ad andare in Israele. Tutto ciò che vogliono è una ‘maggiore protezione delle istituzioni ebraiche’. Pregare, imparare e festeggiare sotto la supervisione della polizia. E’ possibile togliere il dhimmi dal ghetto, ma non il ghetto dal dhimmi”.
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