L'ipocrita lotta di Obama contro gli oleodotti genera inquinamento e rischi, altro che fonti rinnovabili
La ripresa di cui il presidente si vanta è anche merito dell’enorme successo del settore energetico, che in mancanza di pipeline sicure trasporterà il petrolio su rotaia.
New York. Barack Obama il veto sull’oleodotto Keystone lo aveva promesso agli avversari repubblicani, e lunedì glielo ha sbattuto ufficialmente in faccia. A meno che la maggioranza guidata dal senatore Mitch McConnell non trovi i quattro voti che le mancano per aggirare il veto presidenziale – missione praticamente impossibile – l’oleodotto che unisce i giacimenti del Canada alle raffinerie del Golfo del Messico continuerà a rimanere un progetto in potenza, un’infrastruttura congelata com’è stata negli ultimi sei anni. Obama dice che per prendere una decisione occorre almeno aspettare l’ennesima valutazione del dipartimento di stato, che dirà se l’oleodotto Keystone è un progetto “buono per l’America”, ma intanto i gruppi ambientalisti esultano per una manovra che sperano sia il preludio a una decisione definitiva: “Questo veto, assieme al crescente scetticismo espresso pubblicamente dal presidente, ci dà nuove garanzie sul fatto che il presidente negherà il permesso una volta per tutte”, spiega Gene Karpinski, presidente della League of Conservation Voters. Il ragionamento degli ambientalisti è semplice: costruire nuovi oleodotti significa incoraggiare l’estrazione di energie non rinnovabili, aumentare le emissioni nocive, deprimere gli investimenti su fonti alternative e, più in generale, stimolare il mercato che porterà il pianeta alla distruzione. Senza contare il rischio di incidenti e fuoriuscite inquinanti che viene agitato come uno spauracchio. Keystone, un colosso infrastrutturale che potrebbe trasportare 830 mila barili di greggio al giorno, è diventato il simbolo di una lotta più ampia agli oleodotti, disputa che coinvolge progetti che difficilmente precipitano nei titoli della cronaca politica nazionale. Un’inchiesta del Wall Street Journal di alcuni mesi fa mostrava che almeno dieci oleodotti americani sono stati bloccati da un’attività di lobbying coordinata con perizia strategica da un cartello di associazioni.
Le prove addotte a suffragio della tesi ambientalista sono almeno contendibili, ciò che però è al di sopra di ogni sospetto è la crescita generale del settore petrolifero americano, a prescindere dalla costruzione di nuove pipeline. Quando Obama è arrivato alla Casa Bianca l’America estraeva 5 milioni di barili di greggio al giorno, ora i milioni sono 7,4, e il dipartimento dell’Energia prevede che saranno oltre 9 alla fine del 2016. L’esplosione dello shale e la fratturazione idraulica hanno aumentato a dismisura le capacità energetiche degli Stati Uniti, che corrono verso l’indipendenza petrolifera diminuendo il potere strategico e geopolitico dei paesi dell’Opec. Se Obama può vantare una ripresa economica imparagonabile rispetto a tutti i paesi dell’occidente industrializzato è anche grazie alla crescita del settore. Il baco nel ragionamento ambientalista è che un veto ideologico a un oleodotto non cambia la dinamica del mercato. Il Canada e il North Dakota non diminuiranno il ritmo delle estrazioni perché non ci sono tubi che li collegano agli impianti per la raffinazione, il mercato trova sempre altre vie per completare il ciclo del business. Il greggio semplicemente viene trasportato con altri mezzi, e dato che una legge scritta novant’anni fa rende impraticabile il trasporto via nave, il greggio che non finisce nell’oleodotto viene trasportato su rotaia. L’agenzia internazionale per l’energia dice che nei prossimi vent’anni il Nord America investirà 2.500 miliardi di dollari nelle infrastrutture petrolifere, cifra che aiuta a definire la vera portata di Keystone, che ammonta allo 0,3 per cento degli investimenti preventivati. La maggior parte di quei soldi servirà a finanziare nuove ferrovie.
[**Video_box_2**]Dall’ultrademocratico Oregon al Kansas conservatore, tutti gli stati nella traiettoria del greggio stanno investendo in nuove ferrovie per il trasporto petrolifero, strutture che non hanno minore impatto ambientale di un oleodotto e contengono più fattori di rischio, come sa bene chi ricorda il devastante incidente ferroviario in Canada nel 2013. Nella circostanza sono morte 47 persone. Bloccare un oleodotto genera consenso presso la lobby ambientalista e stimola il rischioso business del trasporto su rotaia, un’alternativa non proprio alternativa.
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