Zitto zitto, su Libé Piketty raccomanda il “tonico” libro di sua moglie
L’ultimo intervento su Libération risaliva a un mese fa. L’economista “frenchie” e nuovo santino del Tout-Paris Thomas Piketty salutava entusiasta il “trionfo elettorale di Syriza in Grecia” che stava per “stravolgere l’Europa e mettere fine all’austerità che mina il nostro continente e la sua gioventù”.
Parigi. L’ultimo intervento su Libération risaliva a un mese fa. L’economista “frenchie” e nuovo santino del Tout-Paris Thomas Piketty salutava entusiasta il “trionfo elettorale di Syriza in Grecia” che stava per “stravolgere l’Europa e mettere fine all’austerità che mina il nostro continente e la sua gioventù”. Esibendo il suo ottimismo per la crescita nei sondaggi di Podemos in Spagna, Piketty invitava le altre sinistre europee, soprattutto quella francese e italiana, a seguire l’esempio di Tsipras, a tendergli la mano, “per proporre una vera e propria rifondazione democratica della zona euro”, strappando, o quantomeno sgualcendo, il Trattato budgetario europeo del 2012. Il tempo di concludere la tournée “anti-Abenomics” in Giappone, dire che la politica economica del premier nipponico Shinzo Abe esacerba le diseguaglianze, registrare la sbornia di vendite del suo “Il capitale nel XXI secolo” (150.000 copie vendute in due mesi, e due esegeti all’attivo, Nobuo Ikeda, autore di “Capire i principali argomenti di Piketty in 60 minuti”, e Mieko Takenobu, all’origine del saggio dagli echi esoterici “Iniziazione a Piketty”), ed eccolo di ritorno in Francia a épater la gauche, a sbalordirla.
Martedì, sempre su Libération, Piketty si è lanciato in una lunga riflessione sui nuovi modelli economici dei media francesi e su quelle che considera le loro derive, sottolineando l’urgenza di “salvare i media” (titolo del pezzo) dalle manacce dei grandi gruppi editoriali che hanno la “cattiva abitudine di abusare del loro potere”. “Indeboliti dal crollo delle vendite e degli introiti pubblicitari, i media finiscono progressivamente in balia di miliardari dalle tasche piene di soldi, spesso a discapito della qualità e della loro indipendenza”, ha denunciato l’economista francese. Nomi? Il gruppo Bouygues, che controlla Tf1, la famiglia Dassault – “avidissima di commesse pubbliche e fortemente implicata in politica” – che ha il Figaro, Bernard Arnault, che attraverso il gruppo del lusso Lvmh controlla il quotidiano economico Les Echos, il trio Bergé-Niel-Pigasse, che ha recentemente rilevato il Monde e l’Obs, e, scrive Piketty, anche il “duo Ledoux-Drahi”, che ha appena acquisito Libération.
Quali soluzioni adottare dunque per garantire l’indipendenza dei media? Piketty sostiene la necessità di ripensare i modelli economici attuali e di adattarli all’èra digitale, facendo sue le tesi di un libro di cui raccomanda fortemente la lettura e che presenta come “tonico e ottimista”, all’interno del quale l’autrice, l’economista Julia Cagé, mostra che è possibile “salvare i media” sviluppando un modello “fondato sulla condivisione del potere e sul finanziamento partecipativo” (Il titolo del saggio che Piketty considera salvifico e che ha una copertina più rossa del Libretto di Mao Zedong s’intitola “Sauver les médias: Capitalisme, financement participatif et démocratie”). Più precisamente: creare un nuovo statuto giuridico, una “società editoriale senza scopo di lucro”, che permetterebbe secondo Cagé e Piketty di creare un vero equilibrio tra piccoli e grandi azionisti e soprattutto di garantire la libertà e l’indipendenza dei media.
[**Video_box_2**]Tutto molto bello e tutto molto dem: libertà, finanziamento partecipativo, dipendenza dai lettori, indipendenza dai poteri forti. Ma c’è un dettaglio che Monsieur Piketty ha preferito omettere nella sua ultima omelia per combattere le diseguaglianze della nostra epoca. Julia Cagé infatti, come rivelato ieri dal sito Arretsurimage, non è solo professoressa di economia a Sciences Po e titolare di un dottorato di ricerca all’università di Harvard, ma è anche sua moglie. In nessun momento Piketty fa cenno al legame intimo tra i due: mica male per un articolo in cui si discetta attorno all’importanza fondamentale rappresentata dall’indipendenza dei media e si denunciano gli elevati rischi di conflitti d’interesse quando il potere editoriale è concentrato nelle mani di pochi (“che spesso non sono né tanto competenti né particolarmente disinteressati”, scrive l’economista citando sua moglie).
“L’opinionista è sottomesso alle stesse regole di conflitti d’interesse che valgono per i giornalisti? Ne abbiamo discusso con Piketty, ha invocato la sua libertà di opinionista, gliela abbiamo concessa”, hanno spiegato quelli di Libé a Arretsurimage. E per correttezza non si poteva quantomeno menzionare la vicinanza non solo intellettuale tra i due nelle note a piè di pagina? “Glielo abbiamo chiesto, ha rifiutato”. Forse, ora, è meglio chiamarlo Marketty.
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