Apologetica cristiana o apocalisse, scegliere
Chissà che qualcosa non si stia muovendo nel cuore dell’occidente. Un volontario australiano di 28 anni, Ash Johnston, è morto in combattimento al fianco dei peshmerga curdi all’assalto del Califfato di Al Baghdadi.
Chissà che qualcosa non si stia muovendo nel cuore dell’occidente. Un volontario australiano di 28 anni, Ash Johnston, è morto in combattimento al fianco dei peshmerga curdi all’assalto del Califfato di Al Baghdadi. Ce ne sono altri come lui, non particolarmente conosciuti e riconosciuti da società e istituzioni. Johnston era una specie di private Ryan, il soldato Ryan dell’epopea di Steven Spielberg, era uno che combatteva per salvare gli yazidi con i guerriglieri collegati ai comunisti del Pkk contro il fascismo islamico (diciamo così, anche se la faccenda del totalitarismo islamico è più complicata). Ci sono gruppi cristiani che si armano, e sui quali sarebbe interessante conoscere il parere della gerarchia cattolica e delle denominazioni cristiane acattoliche.
I foreign fighters che stanno dalla parte del Califfo, che fanno avanti e indietro con la Siria e l’Iraq, quelli come il boia incappucciato detto Jihadi John, che poi è il londinese Mohamed Emwazi, quelli della danza macabra di Charlie Hebdo e del supermercato kasher, sono i rapper di un’altra epopea. Un’inchiesta di Yuri Trofinov sul Wall Street Journal li paragona ai militanti delle Brigate rosse e della Rote Armee Fraktion. Sono giovani convertiti, allevati in un ambiente islamico non praticante o ateo, oppure islamici radicalizzati. Sono francesi, inglesi, tedeschi, italiani, americani. Sono parecchie migliaia. Sono un partito armato antioccidentale, rivoluzionari che trovano nel jihad una per loro necessaria verità palingenetica, una trasvalutazione di valori morti dell’occidente secolarizzato: sulle loro insegne c’è il Dio unico assolutamente trascendente del profeta Maometto, c’è la lotta contro la ragione, la tecnica, i diritti della persona. Lotta implicita in una fede che assorbe in sé tutto, la società, lo stato, la legge, la preghiera, la distruzione degli idoli, l’inimicizia a fil di spada verso gli infedeli predicata e praticata dal fondatore di quella grande religione universalista nemica storica del cristianesimo. Ma poi è gente che vede nell’islamismo radicale la risposta tosta (badass) al bisogno di scopo, di senso dell’esistenza e di giustizia incondizionata. Nella loro patria spirituale e culturale e civile manca qualcosa che forsennatamente, rappisticamente, si trova invece nell’azione e nella propaganda degli sharioti. Dunque sono e al tempo stesso non sono come i brigatisti italiani o tedeschi degli anni Settanta: non sono la coda di vecchie ideologie, si propongono invece come avanguardie di un nuovo incantamento, che viene da un passato remoto ma ha per sé il futuro, il XXI secolo, lo scontro di civiltà.
Nell’Espresso di questa settimana Massimo Cacciari si aggrappa con una certa disperazione, che non è solo una posa tragica, al pensiero di Carlo Maria Martini, espresso come atto di apostolato all’indomani dell’11 settembre 2001. Bisogna convertirsi, ci vuole la metànoia, l’occidente deve pentirsi della sua capacità di ingiustizia, della sua tendenza alla disuguaglianza, dello scandalo della sua ricchezza e potenza, perché è di qui che parte tutto.
[**Video_box_2**]La chiamo la risposta apocalittica: il cardinale e il suo filosofo di riferimento predicano il disvelamento e la rimozione delle radici del male, il mistero dell’iniquità, ciò che è consustanziale al Regno adveniente per i credenti ed è un esercizio razionale di pietà e di pace e di progresso e dialogo per i non credenti. Sono all’opposto convinto che per fronteggiare tendenze e fenomeni ormai in vasto dispiegamento, tesimoniati dalla forza seduttiva delle ideologie islamiste, bisogna passare dall’apocalittica, dal discorso apocalittico, all’apologetica. L’apologetica (un parlare in difesa) era il modo scelto dai cristiani primitivi, dai Padri della Chiesa e poi dalle teologie mature per opporsi alla persecuzione, al fondo totalitario delle leggi civili che espropriavano la coscienza e rendevano obbligatorio l’omaggio all’imperatore, sulla cui figura si modella il Califfo. Per essere semplici, apologetica vuol dire sicurezza di sé, spazio pubblico aperto al tuo Dio nella tua società, spazio alla tua difesa identitaria, alla certezza incrollabile dei tuoi dogmi rivelati e della tua dottrina intorno alla persona umana e ai suoi diritti imprescrittibili. Chiamatela discorso di Ratisbona, chiamatela crociata, chiamatela più umilmente processione, chiamatela unione laica intorno ai valori cristiani. Chiamatela come volete, ma se l’occidente non trovasse una sua nuova forte apologetica, una difesa consapevole di sé e dei suoi criteri di esistenza, subirebbe, e non tanto alla lunga, i frutti dell’apocalittica, non quella di Martini, quella del Califfo.
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