Tutto pronto per l'ultimo (e incertissimo) atto di Masterchef. I santi non salvano Paolo

Mahatma

E’ andata come doveva andare. A Paolo marito di Paola non è bastato invocare l’angelo custode (l’altra volta aveva invocato l’aiuto dei Santi) per superare le barriere che il destino gli aveva messo davanti: è uscito con una zucchina ripiena di gamberi e besciamella.

E’ andata come doveva andare. A Paolo marito di Paola non è bastato invocare l’angelo custode (l’altra volta aveva invocato l’aiuto dei Santi) per superare le barriere che il destino gli aveva messo davanti: è uscito con una zucchina ripiena di gamberi e besciamella – “più che besciamella è un lago”, ha sentenziato un acidissimo Barbieri – senza sale prima di fare le solite smorfie che fanno ridere quasi come le battute di Gene Gnocchi quand’era ospite fisso alla Domenica Sportiva. Il resto, come da copione: in finale ci finisce Amelia, che finalmente ha deciso di fare la furba mettendo in difficoltà i più forti e non il contrario, come capitato alle prime puntate. Ancora nessuno ha capito il motivo del suo ragionamento finalizzato a premiare i migliori e punire i più sfigati, ma tant’è. Con lei, ecco Stefano che senza sudare prepara tre panini che entusiasmano i giudici. Ha impiegato un minuto per elencare gli ingredienti di quello dato in pasto a Joe, senza che nessuno tra i telespettatori abbia capito una parola. Pare, però, fosse squisito. Infine, per un pelo, tra i migliori finisce Nicolò, per una volta tremante e con la cresta abbassata. A noi, mediocri telespettatori, non sembrava che la sua ultima pietanza, il timballo di cavolfiore, fosse sta gran cosa, ma siccome pensiamo sia giusto che in fondo ci vadano i migliori, siamo lieti che il politburo giudicante l’abbia spedito lassù in piccionaia, così da poter abbracciare come solo lui sa fare la bella Amelia (Cracco la battutina sull’abbraccio caloroso non se l’è fatta mancare).

 

Alla fine, il dato più interessante delle due puntate comunque adrenaliniche – quasi quanto Athletic-Torino di Europa League – è stato la scoperta della mitica Madame Annie Feolde dalla variopinta chioma arancio-biondo, prima donna in Italia ad aver ricevuto le tre stelle Michelin. Trasferitasi a Firenze trent’anni fa (ma forse sono cinquanta, sostiene una mia amica via Whatsapp), ha fatto da mamma ai tre cuochi dilettanti, sbattendoli nelle cucine dell’Enoteca Pinchiorri di Firenze a cucinare polipi, anatre e pici. Ha detto che li prenderebbe tutti e tre, definendoli già “cuochi affermati”. Speriamo non faccia come Gualtiero Marchesi che –  dimenticandosi di essere stato ospite/protagonista di una puntata della prima edizione di Masterchef – definì in un’intervista “un tradimento” la scelta di “spettacolarizzare, estremizzare e infiocchettare un lavoro giornaliero che è molto duro e pesante”.

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  • E' nato al nord (non serve dire dove né quando, anche perché sono informazioni buone per necrologi e che poco interessano il lettore più o meno interessato). Si considera maturo quanto a età, meno a dotazione intellettuale. Non se ne cruccia, sapendo che la capacità d'elaborazione mentale in codesto mondo non deve essere per forza alta (d'altronde Hegel e Kafka non sono più bestseller da qualche decennio). Segue lo sport in generale a eccezione delle bocce, del sumo e del golf, che considera una delle più grandi sciagure capitate all'umanità, quasi quanto lo sport trasmesso sulle reti Rai. (ne parla sovente su questo giornale) Appassionato di cucina televisiva, ama le pentole che si vedono a MasterChef (delle cui puntate cura periodicamente le recensioni sempre su questo giornale) e soprattutto la relativa dispensa. Ricorda con rimpianto la tv del cane di Paolo Limiti, Floradora.