Non si va su Twitter per twittare. Dick Costolo abbraccia l'utente passivo

Non si va su Twitter per twittare. Se l’avesse detto un rappresentante a caso del famoso popolo della rete – riedizione collettiva e digitale dell’uomo della strada – sarebbe un giochetto di parole, un’opinione da poco; siccome l’ha detta l’amministratore delegato di Twitter, Dick Costolo, allora si tratta di una rivoluzione copernicana.

Non si va su Twitter per twittare. Se l’avesse detto un rappresentante a caso del famoso popolo della rete – riedizione collettiva e digitale dell’uomo della strada – sarebbe un giochetto di parole, un’opinione da poco; siccome l’ha detta l’amministratore delegato di Twitter, Dick Costolo, allora si tratta di una rivoluzione copernicana. “Incontro persone che mi dicono, ‘non twitto’. Penso che ci sia ancora un errore di prospettiva sulla ragione per cui si va su Twitter. Quando incontro questa gente, dico ‘non devi’”, ha spiegato al New York Times.

 

Non c’è nessun bisogno che twitti, assicura Costolo, starsene lì a leggere la timeline senza cinguettare nulla non è contrario all’etica di Twitter, non c’è nessun bisogno di esternare sempre-tutto-subito o di gareggiare ossessivamente a chi scrive l’arguzia più arguta. E’ tutta una “misconception”, una concezione sbagliata dell’oggetto. Twitter ha convinto il mondo che solo l’utente attivo, quello che regolarmente scrive e avvia dibattiti o risponde “grazie” a tutti quelli che gli scrivono quant’è intelligente, è un indigeno certificato del medium. Gli altri sono turisti del social network. I turisti magari ogni tanto scrivono qualcosa per ricordare, innanzitutto a loro stessi, della loro esistenza, qualche mitomane li ritwitta e loro, da buoni turisti, si convincono di avere fatto abbastanza per sembrare regolari cittadini. Sei mesi più tardi ripetono l’operazione per illudersi e illudere di nuovo. Ma gli indigeni di Twitter mica abboccano. Loro lo sanno che il twittare è come il cogito cartesiano, la prova finale dell’esistenza, e il twittare è (e non può non essere) costante, ossessivo, maniacale, deve dare dipendenza e può, nella sua forma degenerata, trasformare un onesto utente nella figura del folle digitale, il troll. L’utente attivo e pienamente legittimo è quello che si ferma a pochi centimetri dal confine del regno dei troll.

 

Ora l’amministratore delegato di Twitter certifica che anche gli utenti passivi sono parte integrante e legittima del popolo del social network, non sono cittadini di serie B. La dichiarazione è sorprendente se si pensa che gli utenti attivi sono un indicatore fondamentale per il business di Twitter. L’ultimo report sulle performance dell’azienda dice che ci sono 288 milioni di utenti attivi ogni mese, incremento risibile rispetto all’ultimo rilievo, il che ha gettato qualche ombra di preoccupazione fra gli osservatori dell’azienda. Ci si poteva aspettare dall’azienda un appello diretto, tipo “Twittate di più!”, per scatenare l’utente attivo che c’è in ognuno di noi, invece Costolo va in giro a dire cose controintuitive: “Tutti vogliono conoscere e stare aggiornati su quello che succede nel mondo ed essere connessi. Questo è quello che Twitter offre. Quindi penso che chiunque possa ottenere un beneficio a prescindere dal fatto che voglia twittare o meno”.

 

[**Video_box_2**]Twitter, a quanto pare, non vuole soltanto studenti con la mano sempre alzata o maître à penser che masticano e risputano i loro pensierini liofilizzati senza soluzione di continuità. Del resto pure Costolo, che in generale passa “molto” tempo su Twitter, lascia addirittura che intere giornate scivolino via senza cinguettare nulla; non sempre ha qualcosa da dire e talvolta ha qualcosa da dire ma non lo dice. Invece della solita attività fisica generica, Costolo fa CrossFit nel campus dell’azienda, perché “è abbastanza intenso fisicamente da impedirti di pensare a qualunque altra cosa mentre lo fai”. Correre non basta. Serve l’intensità fisica per sciacquare via i pensieri, lo scorrere delle cose nella timeline della vita e implicitamente l’amministratore delegato sta dicendo che la sua azienda – o almeno la logica del prodotto che offre – contribuisce al flusso costante e frenetico d’informazioni, quello da cui ogni tanto bisogna prendersi una pausa. E c’è pure dell’altro, perché Twitter da tempo è bersagliato dalle critiche per una politica di censura dell’hate speech e delle aggressioni digitali troppo poco rigida, e Costolo si pone il problema, cruciale, della distinzione fra l’aggressione, l’offesa, la diffamazione, e il legittimo dibattito in rete. “Ricevo mail da gente che mi dice ‘ecco qui un esempio di aggressione o di offesa’ e in realtà nell’esempio non c’è alcuna aggressione, si tratta di un dibattito politico. Ci sono molti gradi diversi: che cos’è davvero un abuso? E’ un dibattito legittimo?”. Che si tratti di abuso, di dibattito oppure di offesa e trolling gratuito da monomaniaci depressi, Costolo dice che possiamo rimanerne fuori, senza per questo essere esclusi dal popolo di Twitter.

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