Dandini stai Serena
Giullare senza acrimonia, anche con la Vanoni. Ecco come Virginia Raffaele ha “rasato l’aiuola” alla tv delle ragazze e ai suoi birignao.
Rientrata da Sanremo e da quella strepitosa interpretazione di Ornella Vanoni che è la ragione per cui siamo qui a scriverne, Virginia Raffaele ha staccato il telefono. Risponde in vece sua l’agente, una signora dall’accento emiliano che ti dà del tu di slancio. Nello spettacolo, si sa, son tutti amici o forse no, perché quando, sempre in relata refero perché così andremo avanti per giorni e uno si dice che questo mestiere riserva sempre delle sorprese, domando all’attrice come si senta ad aver superato a destra l’intera epoca della tv delle ragazze e dei loro birignao, la simpatica agente emiliana risponde che la sua assistita non sa nulla di quell’epoca perché è tanto più giovane e che i suoi modelli di riferimento sono infatti Bice Valori e Anna Marchesini. L’affermazione, sempre per interposta persona, non ha alcun senso temporale ma ne ha di storico e, come scoprirò in questa tre giorni di partita a ping pong con rimbalzo, l’attrice ha ben chiaro che esplorare la contemporaneità porta risultati maggiori rispetto allo studio dei tipi comici, le dramatis personae, come facevano appunto le ragazze della tv alla fine degli anni Ottanta, o lo sfottò crudele delle attricette e delle cantanti da discoteca, “quel modo di essere donna che per noi era assurdo”, come ha dichiarato di recente una delle tre autrici, Linda Brunetta, svelandone non solo il lato debole, ma le naturali motivazioni della sua chiusura dopo un paio di stagioni. Era un fenomeno sì, ma anche un tribunale.
Virginia Raffaele non giudica nessuno e si tiene alla larga dai cliché. Ma soprattutto, ha capito quanto sia necessario, di questi tempi, trasformare volti contemporanei comuni in personaggi. “E’ un’epoca di passaggio”, dice: “Dopo vent’anni di dicotomia destra-sinistra e Berlusconi-gli altri, e Berlusconi di spunti ne offriva ogni giorno, molti comici si stanno ‘riorganizzando’”. Nella ricerca del nuovo centro di gravità comica permanente, Virginia Raffaele l’ha presa un po’ alla larga, partendo dal ministro Maria Elena Boschi con uno sketch che, più che polemiche, ha regalato alla titolare del dicastero delle Riforme istituzionali un quid in più di simpatia e un paio di gambe chilometriche. Virginia (chiamarla con il solo cognome non si riesce, è un po’ la dannazione di chi nasce già provvisto di un nome proprio del sesso opposto) è infatti e come del tutto evidente molto bella. A voler essere pedanti, ha gli occhi un po’ ravvicinati, ma possiede senza alcun dubbio quella bellezza da passerella che privilegia l’altezza, nel suo caso attorno al metro e ottanta, il sorriso perfetto e gli attacchi sottili (insieme con gli zigomi alti, gli attacchi fini sono l’ossessione della moda). Quando imita Belén Rodríguez che si sdraia sugli sgabelli degli studi televisivi in hot pants, mostra proporzioni e armonie del tutto sconosciute al suo modello. Insomma, si capisce che ha dovuto lavorare parecchio per essere presa sul serio, perché l’aura di simpatia che circonda qualunque bruttona scherzi un po’ sulla propria chiattoneria a lei non è stata concessa. Come tutte le belle, ha dovuto impegnarsi molto, ed è probabilmente per questo che le sue prove attoriali lavorano più sull’adesione surreale a un personaggio reale, una sorta di quadro di Sciltian (“oddìo, credevo fosse la vera Ornella Vanoni ” è stato il genere di commento più postato su Facebook e Twitter dopo la sua esibizione sul palco dell’Ariston) che alla parodia di un tipo umano.
Cresciuta fra le attrazioni del luna park dell’Eur costruito dalla sua famiglia e da qualche tempo chiuso, nipote di un’acrobata cavallerizza che, a giudicare dalle foto, aveva lo sguardo malizioso e brillante come il suo, Virginia più che mostrarsi si nasconde. E’ un elemento che in effetti la apparenta alla genìa delle Marchesini e delle Goggi più che alle Finocchiaro, le Guzzanti, le Dandini della “Tv delle ragazze”, che non era mai scorretta al punto di mettere in discussione l’ideologia dell’impegno femminile e la tentazione del fervorino molto radical, talvolta chic, ma che soprattutto non metteva mai in secondo piano l’ego delle sue protagoniste. Quelle erano e restavano conduttrici e attrici con un ruolo da interpretare, talvolta molto ingrato ma che cosa non si fa per il bene delle masse. Virginia, che come recitano le sue biografie è montata in palcoscenico anche per le “Nuvole” di Aristofane (son tutti ruoli maschili, chissà come ne è venuta fuori, forse interpretando le divinità, mah), si nasconde volentieri dietro le maggiorate, le soubrettone, le guitte, verso le quali non ostenta però mai l’acrimonia che Cinzia Leone riservava a Francesca Dellera o Sabrina Salerno, figlie arrembanti della fazione avversa. Un po’, come lascia intendere, i tempi sono cambiati e in effetti sono diventati inclusivi e bisognosi di pace e di alleanze, come dire che se perfino Rcs Libri e Mondadori finiranno per unirsi chi sono io comico per mettermi di traverso; un po’ la smorfia cattiva non è propria al suo carattere. A “Mai dire Grande Fratello” regalava bellezza a quello scherzo pneumatico di Cristina Del Basso, (qualcuno se la ricorda ancora?); a “Quelli che il calcio” ha tentato la stessa operazione con Nicole Minetti, in questo caso fallita per l’evidente supremazia dell’ex consigliere regionale lombardo nel caricaturare, pur involontariamente, se stessa.
Le sue sono le donne brutalmente popolari, liricamente cialtrone che sarebbero piaciute a Federico Fellini: grottesche ma col cuore. Le sue Michaela Biancofiore e Maria Elena Boschi sono, in proporzione, delle prove d’orchestra, un sorriso indulgente, e se qualcuno avesse visto l’espressione smarrita di Renata Polverini su un ascensore che la portava al piano nobile del palazzo di Valentino in piazza Mignanelli mentre i vertici della maison ne fissavano gelidi i capelli in disordine e i vestiti stazzonati ai tempi in cui era presidente della Regione Lazio, capirebbe che ha passato momenti peggiori di quelli che le ha riservato Virginia. Il suo è il riso del giullare, il rabbuffo dell’amica che ti riporta con i piedi per terra; non è mai la maschera amara della commedia o lo scherno del buffone del re, che sono tutti modelli maschili perché nel mondo occidentale le commedianti della risata sono un fenomeno piuttosto recente, poco più di un secolo perfino nell’Inghilterra patria della satira e sebbene, come specifica Virginia via sms, non le piaccia fare differenze di genere benché “le donne abbiano certamente una forte propensione alla comicità, altrimenti non starebbero con gli uomini”.
[**Video_box_2**]Virginia è una che non si espone neanche nella vita. Si è simbolicamente nascosta, cioè molto schermita, anche in un’intervista di qualche stagione fa alle “Invasioni Barbariche”: abile, nonostante un filo di imbarazzo vero tenuto a bada toccandosi continuamente i capelli, ha lasciato primeggiare Daria Bignardi; si è fatta piccola, tenera e minuscola, e dal confronto è uscita trionfante, seguita dal consueto corteo di commenti adoranti. Sì, in effetti con la tv delle ragazze e delle sue eredi, che arrivano fino a Paola Cortellesi, Virginia c’entra poco, ma per eccesso di modestia e ritrosia; forse quell’adolescenza passata dietro il banco del tirassegno le ha fatto comprendere quand’è il caso di sparare e quando è meglio offrire il fucile al cliente e tenersi in disparte mentre quello fa esplodere i palloncini. E sul giro-Dandini non intende affatto caricare. La tv delle ragazze non si tocca, perché le ragazze, tranne Monica Scattini scomparsa dieci giorni fa e molto rimpianta, sono tutte ancora in giro e parecchio irritate di non essere più del giro. Dandini scrive di fiori e amenità su Io Donna, che è una rubrica molto godibile ma insomma non è più il divano delle terze serate televisive, quelle per gli intimi intellò rientrati dalle cene e ancora bisognosi di uno stimolo prima di abbandonarsi alle lenzuola di lino, e Sabina Guzzanti incappa nelle invettive dei social ogni volta che, da signora benestante con tutti i vizi e le debolezze estetiche delle stesse e che a Roma, notoriamente, vengono decuplicate, tenta la carta dell’indignazione anti casta per strappare qualche titolo. Naturalmente, però, Sabina Guzzanti e Virginia Raffaele si conoscono. Si conoscono talmente bene che il passaggio di consegne, ma soprattutto di stile fra le due, è testimoniato da un video che si trova tuttora su YouTube in data 12 aprile 2012. Rimanda a “Un due tre, stella”, otto puntate andate in onda su La7 pre-Cairo che certificarono al tempo stesso il ritorno della Guzzanti a un decennio dalla chiusura di “Raiot” e la sua ultima apparizione di una qualche importanza. Virginia vi interpreta l’operatrice telefonica, archetipo della modernità ingestibile e frustrante che è uno dei suoi tormentoni, erede crudele della stralunata centralinista Rai di Bice Valori.
“Risponde l’operatore 00294 del centro smistamento telefonate della Santa Sede, se vuoi scoprire le altre offerte, visita il sito www.santasedevaticanoamen.com”. “Per il paradiso, digiti uno; per il purgatorio, digiti due, per l’inferno digiti tre. Per il limbo, resti in attesa. Le ricordiamo che gli ultimi saranno i primi”, arrota Virginia, riproducendo con abilità di fonetista interruzioni, cadute di linea, sonorità metalliche, mentre Sabina abbozza, incassando i colpi d’artificio di quell’esibizione come un pugile una gragnuola di colpi sul viso già innaturalmente gonfio. Il verdetto, che ognuno potrebbe esprimere da sé ma che a causa dell’attivismo dei social è ampiamente esplicitato in calce al video e che lì rimarrà in memoria e nei secoli (lo diceva già Julia Roberts nell’unica battuta realistica di “Notting Hill”: “Le notizie non si cancellano il giorno dopo. Vengono archiviate per sempre, e io rimpiangerò questo per sempre”) sancisce in via definitiva quel che si scriveva nelle prime righe: la tv delle ragazze della femminilità trattenuta, inesistente o repressa e dall’invettiva sempre carica contro il mondo cinico e baro è finita, a favore di un modello al tempo stesso più solare e più autenticamente cattivo. Più popolare, insomma. Il teatro da camera è finito, torna il baraccone in piazza. Scrive tale Qwerty 7573: “Peccato che la Guzzanti non sia proprio fenomenale in queste scenette… Virginia tremendamente brava”. Seguono decine di emoticon entusiasti, mentre l’unica voce dissenziente (“queste cose le faceva Anna Marchesini 25 anni fa”), viene rintuzzata da uno sfoggio di competenza critica diffusa che dovrebbe davvero far riflettere i ricercatori di mercato quando sostengono che “il pubblico è più intelligente di quanto si creda”, mostrando di non crederci e, soprattutto, di non ritenersi affatto parte di un pubblico perché il pubblico, come l’inferno, c’est les autres.
In questo recupero del tratto comico che ognuno di noi possiede e che ci rende tutti vittime ideali, Virginia può aver guardato alla Marchesini e a Bice Valori quanto Gigi Proietti ha fatto con Ettore Petrolini, ma non è questo il punto. Il punto si è visto qualche sera fa sul palcoscenico dell’Ariston, uno spettacolo che ha fatto piazza pulita, che anzi ha “rasato l’aiuola”, per dirla con un gioco di rimandi della “sua” Vanoni, non solo alla tv delle ragazze, ma a tutto il suo universo di riferimento. Spostato dalla piena luce Berlusconi, tolto il Caimano dall’occhio di bue, si è scoperto che il pubblico italiano continua ad amare lo spettacolo grandioso, lirico e commovente , formalmente perfetto e, se possibile, elegante davvero, e che detesta chiunque gli impartisca la lezione in veste di maestro di cerimonie. Per questa nuova tv classica, Virginia è pronta da un pezzo.
Perfettamente mimetizzata come Noschese, anche lui uomo schivo e riservato: “Per realizzare l’imbottitura dei pantaloni che le avrebbero permesso di imitare il passo della Vanoni abbiamo lavorato per ore. Non accetta sbavature”, racconta lo stilista Gianluca Saitto, che si è prestato al ruolo di costumista, accettando di realizzare una camicia nello stile di Gianfranco Ferré amato dalla Vanoni. Ma al di là dei pur significativi dettagli, è il contesto a essere cambiato. “Conti ha seppellito una liturgia”, specifica la scrittrice Cinzia Leone, cofondatrice di quell’irripetibile simbolo di satira editoriale che fu “Il Male” e omonima della “ragazza” di Rai 3, che vede con favore il cinismo dello spettacolo ben fatto ridiscendere le scale dell’Ariston con tutto il corredo di fenomeni esibiti, meticoloso equilibrismo nei testi e tempistiche perfette. “Si è chiusa l’epoca del fervorino buonista e del trottolino amoroso”. E Virginia Raffaele ci sta seduta sopra.
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