Il ministero dell'Economia di via XX settembre a Roma (foto LaPresse)

Renzi e il piano per conquistare il ministero del Tesoro. Mosse, nomine e nomi.

Alessandra Sardoni

Che il calcio d’inizio di una piccola ma significativa partita di nomine al ministero dell’Economia sia stato sferrato si è capito quando ha cominciato a circolare la voce che Renzi stesse pensando di sostituire il direttore generale Vincenzo La Via

Che il calcio d’inizio di una piccola ma significativa partita di nomine al ministero dell’Economia sia stato sferrato si è capito un paio di settimane fa, quando ha cominciato a circolare la voce, riportata da qualche sito, che Renzi stesse pensando di sostituire il direttore generale del Tesoro, Vincenzo La Via, con Cosimo Pacciani, banchiere, amico dai tempi del liceo, frequentatore della Leopolda (ma non quest’anno), blogger, attualmente impegnato al Fondo salva stati, a Lussemburgo. “Se è per questo i giornali hanno scritto anche la data in cui sarebbe andato via il Ragioniere Generale dello Stato, Daniele Franco. E’ passata da due mesi e lui è sempre là”, replicano infastiditi da via XX settembre. La data di scadenza del contratto di lavoro di La Via, aprile 2015, è invece ben presente ai fedelissimi del premier.


A Palazzo Chigi, dove alberga la squadra di economisti pensata per controbilanciare e magari piegare le eventuali resistenze del ministero dell’Economia rispetto alle scelte di Renzi, giurano che la faccenda è tutta nelle mani di Padoan, “nella sua autonomia”, che insomma al presidente del Consiglio non interessano le caselle, almeno tre a quanto sembra, che si stanno per liberare. In fin dei conti, è la tesi, dagli ottanta euro al tfr, alla spending review, alle grandi manovre Rai way/Mediaset/Telecom, tutto è ormai in mano al dreamteam: dal super manager Andrea Guerra, al consigliere McKinsey, Yoram Gutgeld, da Tommaso Nannicini che sta per ereditare la delega fiscale ai bocconiani Carlotta De Franceschi e Roberto Perotti, fino a Marco Simoni e Luigi Marattin, avatar governativi più fedeli dei tecnocrati soprattutto di quelli del Mef. Eppure la tesi di un disinteresse del premier è poco componibile sia con l’atteggiamento difensivo del ministero, sia con il fatto che le nomine potrebbero costituire l’occasione per il primo innesto renziano in una struttura fin qui inespugnata e di cui Renzi ha capito le insidie.


Un innesto in posizioni di rilievo, visto che la direzione generale del Tesoro è il ruolo che fu di Draghi e poi di Grilli: La Via, economista nominato da Monti, riconfermato da Letta e da Padoan, ha le physique du role per natali (è un rampollo delle famiglie Berlinguer e Siglienti) e curriculum (è stato a lungo alla Banca mondiale). Come nel caso del commissario Carlo Cottarelli (stessi mondi di provenienza), l’idea è trovargli un degno approdo. Gli altri dirigenti in uscita sono il direttore dei Rapporti finanziari, Carlo Monticelli, e Lorenzo Codogno, capoeconomista del Tesoro la cui ostilità alla politica del governo Renzi in tema di fisco e saldi di spesa è attestata, fin dallo scorso novembre, da una significativa letteratura giornalistica (Fubini di Repubblica, Ravoni del Giornale). “Questa sostituzione avviene con un bando, sono già arrivati curriculum, poi sceglie Padoan”, spiega Filippo Taddei, responsabile economia del Pd. Più d’uno potrebbe arrivare da Palazzo Chigi dove si parla proprio della succitata Carlotta De Franceschi.

 

Da una parte e dall’altra la prima preoccupazione sembra essere quella di disinnescare la narrativa di una tensione latente tra Renzi e Padoan, di porte sbattute in polemica con il premier. “Se lasciano è perchè hanno problemi con Padoan non con Renzi”, dichiara un renziano particolarmente attento al dossier, enfatizzando le voci di un crescente fastidio dei tecnocrati del Mef per quella che chiamano l’eterodirezione di Palazzo Chigi.


[**Video_box_2**]Sulle nomine c’è una divaricazione di partenza: il ministro vorrebbe attingere dal bacino Ocse. Fonti autorevoli esterne al Mef sostengono - ma fioccano smentite altrettanto autorevoli - che Padoan stia pensando anche all’economista Chiara Goretti, molto stimata da Bankitalia, fresca di nomina al neonato Ufficio parlamentare di Bilancio, l’organismo che certifica per Bruxelles i conti pubblici, dopo un’esperienza proprio in via XX settembre, ma in un’altra area. Sarebbe la prima donna in quella posizione. Le preferenze di Renzi sono coperte. Anche il nome di Pacciani rivela controindicazioni: i rapporti sarebbero più freddi, dato che in passato Pacciani non avrebbe condiviso l’operazione 80 euro suggerita da Gutgeld. “Trovare il nome adatto non è facilissimo, il direttore generale del Tesoro non può essere uno che non parla con nessuno”, dice un economista che  ha lavorato a lungo a via XX settembre alludendo all’importanza della rete internazionale. C’è poi l’intreccio con il rinnovo delle presidenze delle commissioni, quelle economiche sono in mano ad avversari, vedi il presidente della commissione Bilancio, Francesco Boccia. “Renzi aspetta l’Italicum, tornante decisivo per gli assetti di potere o eventuali vendette”, spiega un deputato del Pd. Da capire anche il profilo che sceglierà Mattarella: Napolitano sul dossier Padoan/Mef aveva più di un’antenna, il suo successore chissà.

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