David Petraeus (foto LaPresse)

I reati veniali di Petraeus, eroe di guerra confuso da una bella agiografa

Martedì Petraeus ha annunciato una richiesta di patteggiamento, dichiarandosi colpevole di aver “utilizzato in modo improprio” informazioni secretate.

Roma. Un ufficiale fedele a David Petraeus ha definito il patteggiamento del generale la fine di un “silly chapter”, un capitolo sciocco nel romanzo nobile e imperfetto di un marziale antropologo che ha affrontato con una certa fermezza l’Iraq, l’Afghanistan, i palazzi di Washington e si è confuso di fronte agli occhi azzurri e ai muscoli ben definiti di una ex soldatessa determinata che desiderava tanto diventare l’agiografa del gran generale. Un capitolo sciocco fatto di interviste troppo lunghe e ravvicinate, di quelli che travalicano nell’illecito, e si sa com’è andata a finire: la cacciata dalla Cia, la caduta in disgrazia, il complicato ritorno dei due nei rispettivi focolari domestici e poi la riabilitazione pubblica, perché l’America è tanto la terra dei puritani quanto quella delle seconde possibilità. Specialmente per chi, come Petraeus, si affida al superavvocato Bob Barnett, l’uomo che sarebbe in grado di reintrodurre in società anche il peggiore avanzo di galera. Nel periodo della sospensione e della riabilitazione Petraeus ha fatto discorsi e firmato accordi di collaborazione, si è esposto con misura senza scegliere la via dell’eclissi, arrivando a ottenere un ruolo ben remunerato in un private equity di New York; certamente nella coda dell’occhio ha tenuto l’ipotesi di un ritorno futuro alla vita pubblica, di quelli in grande stile che toccano in sorte ad alcuni, eroici generali, vedi alla voce Eisenhower.

 

Martedì Petraeus ha annunciato una richiesta di patteggiamento, dichiarandosi colpevole del minore dei capi d’accusa fra quelli ipotizzati dagli investigatori dell’Fbi: gli avvocati ammettono che il generale ha “utilizzato in modo improprio” informazioni secretate, cosa che potrebbe costargli al più una multa da 40 mila dollari e due anni di libertà vigilata.

 

Petraeus, dice il dipartimento di Giustizia, ha passato a Paula Broadwell otto “black books” che “contenevano informazioni classificate riguardo all’identità di funzionari sotto copertura, strategie di guerra, meccanismi d’intelligence, discussioni diplomatiche e spezzoni da incontri con il Consiglio per la sicurezza nazionale e con il presidente”. Lei gli aveva chiesto di sbirciare negli appunti che lui teneva con militaresco rigore – materiale formalmente non classificato, benché zeppo di dati sensibili – e lui dopo qualche settimana di perplessità aveva acconsentito, ripagato dalla fiducia della sua amante-agiografa: nulla di riservato né di pericolo è uscito in un libro, “All in” (quanta facile ironia su quel titolo) che non passerà alla storia per le verità scomode che svela al pubblico. Il generale ha firmato un documento in cui conferma di avere mentito agli inquirenti sui libri neri, e il passaggio d’informazioni era deliberato, “nulla è successo per caso o per errore o per altre ragioni innocenti”. Uno scandalo colossale, si dirà; oppure soltanto la fine di un capitolo sciocco nella vicenda umana di un generale che dopo immensi sacrifici e anni di servizio apprezzati a destra e a sinistra è incappato in un peccato, anzi in un reato veniale, un leak che non è precipitato in nessun libro e nessun giornale, niente a che vedere con Snowden e la pattuglia degli smascheratori di segreti di stato. L’avvocato di Petraeus ha strategicamente piazzato la rivelazione del patteggiamento durante il discorso di Netanyahu al Congresso, e quando i commentatori, esasusti, si sono finalmente occupati del caso, Petraeus ha ricevuto più pacche che schiaffi. E sarebbe stato assurdo il contrario.

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