La sinistra francese sull'islam politico scorda pure il beniamino Foucault
“Occhi chiusi di fronte al jihadismo”, scrive il Monde. Scrive il giornale dell’intellighenzia parigina che, quando parla di islam nei salotti o in Consiglio dei ministri, la gauche “volta le spalle” pure a uno dei suoi intellettuali di riferimento, Michel Foucault.
Bruxelles. Sostiene il Monde che la sinistra francese “ha gli occhi chiusi di fronte al jihadismo”. Scrive il giornale dell’intellighenzia parigina che, quando parla di islam nei salotti o in Consiglio dei ministri, la gauche “volta le spalle” pure a uno dei suoi intellettuali di riferimento, Michel Foucault. Spiega Jean Birnbaum, in un’analisi uscita ieri in prima pagina, che ridurre l’organizzazione dello Stato islamico a un gruppo di “miserabili alla ricerca di celebrità, dei poveri diavoli che hanno abusato dei videogiochi, dei fuori di testa che hanno navigato troppo su internet”, significa non comprendere quanto la religione sia centrale nella sfida posta dai jihadisti. A cominciare dall’atto fondatore dell’islamismo contemporaneo. La Rivoluzione iraniana del 1979 raccontata l’anno precedente – ricorda il Monde – da Foucault, allora inviato del Corriere della Sera. Lungi dal marxismo da bistrot che caratterizzava all’epoca – e anche oggi – gran parte della sinistra, Foucault, che pure non nascose il suo entusiasmo per Khomeini, non aveva individuato nelle condizioni economiche e sociali il fattore determinante della Rivoluzione islamica. No. Anche se alcune motivazioni laiche erano presenti nella resistenza civile, negli scioperi e nelle manifestazioni del 1978 in Iran, Foucault aveva scovato un altro catalizzatore: “La religione, con la sua formidabile influenza sulla gente”. E aveva anche intravisto il futuro. “Il problema dell’islam come forza politica è un problema essenziale per la nostra epoca e per gli anni a venire”.
La lezione di Foucault nel 1978 è stata immediatamente dimenticata dalla sinistra non solo in Francia. Il caso di “Jihadi John” è l’esempio più recente. Il jihad non è solo – o non tanto – il frutto della radicalizzazione (magari in prigione) di emarginati sociali delle periferie europee, come un tempo si sosteneva che la strada araba (o iraniana) si rivoltava contro la povertà o l’occupazione dei Territori da parte di Israele. L’ex studente dell’Università di Westminster, che si è trasformato in tagliateste dello Stato islamico in mondovisione, ha molti cloni nella piccola e media borghesia delle comunità musulmane d’Europa. Birnbaum sul Monde ricorda che Mohamed Belhoucine, giovane di buona famiglia legato a Amedy Coulibaly, l’autore della strage al supermercato kosher di Parigi a inizio gennaio, si era diplomato in una scuola di ingegneria, dove era diventato reclutatore di jihadisti, prima di andare a sua volta in Siria. Mohamed Atta, Marwan al Shehhi e Ziyad Jarrah – alcuni degli autori dell’attacco dell’11 settembre 2001 – erano stati scelti dal ricchissimo Osama bin Laden per la loro educazione, il loro inglese fluente e il loro stile di vita occidentale. Atta, al Shehhi e Jarrah avevano studiato ad Amburgo e non erano “lupi solitari”. Ma anche al Qaeda, i talebani, Hamas sono stati giustificati come l’esito inevitabile dell’imperialismo economico occidentale o della povertà nella Striscia di Gaza. “Una vulgata marxisteggiante che non rende giustizia nemmeno a Marx, il cui pensiero in materia era più complesso”. La cecità della sinistra, che secondo il Monde riduce la religione a “un’illusione che occulta la realtà dei conflitti economici”, ha contagiato una parte della destra francese, lasciando il monopolio della denuncia dell’islam politico al Front national di Marine Le Pen e affini. “Il primo dei diritti umani è mangiare”, aveva detto nel 2003 l’allora presidente francese, Jacques Chirac, in una visita in Tunisia. Il primo ministro, Manuel Valls, sembra aver aperto un po’ gli occhi, riprendendo l’espressione “islam di Francia” inventata da Nicolas Sarkozy, in contrapposizione all’islamizzazione della Francia. Ma pretendendo ricondurre l’islam nella République, la Francia rischia di sottovalutare la potenza di quella che Foucault aveva definito la “spiritualità politica”.
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