Sergio Castellitto (foto LaPresse)

Abbiamo visto solo spezzoni dell'ultimo film di Castellitto. La prossima volta, manco quelli

Mariarosa Mancuso

“Chiedimi del titolo”, suggerisce Sergio Castellitto a Fabio Fazio che a furia di gridare al capolavoro e di garantire personalmente il film si era scordato la scaletta. Non che ne serva una, per piazzare una domanda tanto banale.

“Chiedimi del titolo”, suggerisce Sergio Castellitto a Fabio Fazio che a furia di gridare al capolavoro e di garantire personalmente il film si era scordato la scaletta. Non che ne serva una, per piazzare una domanda tanto banale (di solito serve a guadagnare tempo, quando si va in diretta e la precedente risposta ha fatto appisolare l’intervistatore: succede più spesso di quanto immaginate). Il regista di “Nessuno si salva da solo” teneva a precisare – la ringrazio per la domanda – che non si tratta di un titolo ma di una visione del mondo. E infatti lo precisa, serissimo e incurante del fatto che la visione del mondo e la filosofia aziendale ora sono appannaggio dei cuochi e dei life coach, tutti gli altri si vergognano a nominarla.

 

“Altro che cinquanta sfumature di grigio, qui abbiamo mille sfumature d’amore”, insiste Fabio Fazio, stavolta più pronto. E vabbè, l’esperimento comincia male, ma va portato a termine. Abbiamo infatti deciso, prendendo come bandiera Oscar Wilde – “non leggo mai i libri che recensisco, temo di restarne influenzato – di non andare a vedere l’ultima fatica di Sergio Castellitto, che per la terza volta porta sullo schermo un romanzo della consorte Margaret Mazzantini, arruolandola come sceneggiatrice.

 

Abbiamo deciso di non vedere “Nessuno si salva da solo” perché temevamo di restare influenzati. I film precedenti della ditta Castellitto&Mazzantini ci erano sembrati pochissimo interessanti. Perché appunto li avevamo visti e davanti alla bruttezza – del copione – e alla pomposità – della storia e dei messaggi – abbiamo difese debolissime, praticamente nulle. Forse, stando lontani dalla sala dove si proietta il film, nonché dalle librerie dove i romanzi sono venduti, nonché dalle manifestazioni letterarie e cinematografiche dove i suddetti vengono premiati, capiremo finalmente che son capolavori, e faremo pubblica ammenda.

 

[**Video_box_2**]Da qui gli occhi e le orecchie incollate all’intervista di “Che fuori che tempo che fa” (chissà se quel “che” lo hanno già brevettato come marchio, così da far causa ai copioni?). Sono loro a presentarlo, lo venderanno al meglio, è come chiedere al salumiere se il prosciutto è buono. Ma certo signora, senta che aroma e che dolcezza..., e intanto allunga alla cliente la fettina da assaggiare. L’assaggio sono tre spezzoni del film, che racconta l’originalissima storia di una coppia che si ama e poi si lascia. Si promettono “scene di sesso intense” ma poi si mostra il loro primo incontro, in libreria. Jasmine Trinca ha il basco, Riccardo Scamarcio le fa l’occhio da triglia da sopra lo scaffale e chiede “quali opere preferisce?” (opere? ma son parole da usare con una ragazza?). “Mi piacciono le storie sospese”, risponde lei. Che poi sussurra “finali aperti” (così aperti che finiscono a letto). Si torna in studio, Castellitto dice “sorgivo” e descrive una cena con “sul tavolo il corpo del loro amore finito”. Tenersi a distanza non basta. Anche se non li andiamo a vedere, la malefica influenza di certi film si fa sentire lo stesso. La prossima volta, neanche uno spezzone.

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