J'accuse contro i complici del processo mediatico
"Voi, giornali italiani, avete un problema. Il mio arresto è stato enfatizzato in prima pagina su tutti i quotidiani nazionali. La notizia della mia liberazione dopo solo quarantott’ore è finita in un trafiletto a pagina venti". Antonio Gozzi ha la voce ferma e non abbassa mai lo sguardo. Di fronte a lui siedono decine di giornalisti che, con il capo chino, prendono appunti. Il j’accuse non risparmia nessuna testata italiana.
Prendiamo il Corriere della Sera che in seguito all’arresto titola in prima pagina: "In cella Gozzi, l’industriale dell’acciaio. Intrigo internazionale tra mazzette e principesse". Dopo la liberazione il quotidiano di via Solferino titola, anzi non titola: non ne dà notizia. Lo scorso lunedì insieme al collaboratore Massimo Croci, anch’egli coinvolto, il presidente di Federacciai e amministratore delegato di Duferco, colosso siderurgico con sede a Lugano, si reca a Bruxelles per riferire alla magistratura belga che indaga su un presunto caso di corruzione nell’assegnazione di appalti nella Repubblica democratica del Congo. Gozzi e Croci prendono un aereo con destinazione Bruxelles, hanno concordato un appuntamento con il giudice istruttore Michel Claise che nel tempo libero si diletta da romanziere di successo. Qui accade l’imprevedibile. Ancor prima di essere ascoltati dal magistrato, Gozzi e Croci vengono tratti in arresto. "Mi hanno portato in ceppi davanti al giudice", precisa il manager sessantunenne. Il colloquio con il giudice si risolve nella convalida dell’arresto e in due notti in gattabuia. Quali sarebbero le esigenze cautelari alla base dell’ordinanza cautelare? "Non potevamo certo fuggire essendo giunti fin lì con le nostre gambe. Di questa inchiesta sappiamo da mesi e se avessimo voluto colludere o inquinare le prove lo avremmo fatto per tempo. Il rischio di reiterazione del reato, roba da ridere".
Gozzi è tradotto in carcere: "Mi hanno fatto spogliare e mi hanno tolto gli occhiali. Mi hanno ispezionato in ogni luogo. Poi mi hanno fatto indossare una tuta, come a Guantanamo, ma di colore bianco. Ho dormito per due notti in un carcere duro dove il 65 percento dei detenuti sono islamici. Ritengo di aver subìto un trattamento violento e ingiustificato". Secondo l’inchiesta belga, nel presunto giro di mazzette a funzionari e politici congolesi un ruolo importante lo avrebbe giocato il commercialista belga Stephan De Witte, lo stesso che aveva chiesto e ottenuto da Gozzi un incarico in Congo per implementare un investimento privato per conto di un gruppo di azionisti di Duferco. "De Witte lavorava per noi da vent’anni. Ci ha confidato che si era stancato di compilare dichiarazioni dei redditi e voleva diventare imprenditore. Era disposto a trasferirsi in Africa per gestire in prima persona l’attività. Così nel 2009 gli abbiamo conferito l’incarico. Nel giro di due anni però abbiamo dovuto chiudere la collaborazione che, a fronte di dieci milioni di dollari corrisposti, non aveva portato alcun risultato". De Witte infatti aveva contratto molti debiti e non interloquiva più con il governo congolese. A rendere la vicenda oltremodo romanzesca, c’è il coté da mal d’Africa nel Paese di Conrad.
[**Video_box_2**]De Witte organizza il concorso di Miss Congo e il ‘gratta e vinci’ locale, si lega alla principessa dello Zaire Odette Maniema Krempin, ex stilista e filantropa, bellezza da mozzare il fiato, nota per una certa disinvoltura nelle operazioni finanziarie. Quando l’inchiesta prende corpo, De Witte fa perdere le sue tracce, alla moglie consegna uno scarno memoriale in cui racconta che avrebbe pagato una tangente alla moglie del primo ministro congolese. Adieu. "Di lui non si sa neanche se sia vivo o morto. Quel che io so è che ho commesso un errore nel conferimento di un incarico che ci è costato molti soldi e ha portato soltanto un mare di guai". Gozzi fa mea culpa ma non ci sta a passare per criminale. "Non sono mai stato in Congo né ho mai parlato con funzionari o politici congolesi". A chi gli chiede di eventuali dimissioni, risponde che martedì le proporrà alla giunta di Federacciai ma non intende rinunciare ai suoi incarichi: "Claudio Descalzi è saldamente alla guida dell’Eni pur essendo coinvolto in una vicenda ben più scomoda di questa. Mi pare che il governo lo abbia blindato. Non credo che un avviso di garanzia possa giustificare un mio passo indietro". La voce è ferma e lo sguardo dritto davanti a sé. I giornalisti prendono nota, con il capo chino.
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