Perché chiedo il cessate il fuoco sugli orti campani
Il sito de Il Foglio ha pubblicato una nota in relazione all’unico sito coltivato interdetto alle “produzioni agroalimentari” a seguito della mappatura effettuata nell’ambito del cosiddetto Decreto Terra dei Fuochi, sottolineando, correttamente, che il sito è stato, in realtà, interdetto alla “frequentazione” per presenza, in particolare, di piombo in quantità superiore alla Csc (Concentrazione soglia di contaminazione) definita dal d. lgs. 152/2006.
Altrettanto correttamente, l’origine di questa contaminazione è attribuita alla contigua attività di tiro a piattello effettuata sino a non molti anni fa (pare fino al 2008). Tale origine è comprovata non solo dalla evidenza funzionale delle strutture presenti, ma anche da testimonianze locali, nonché dalla contemporanea presenza, dichiarata dall’Arpac, dell’antimonio, metallo che, col piombo, costituisce la lega utilizzata per i pallini da caccia.
L’origine della contaminazione non è priva di significato e implicazioni, anzi è dirimente: non è la stessa cosa dire che l'origine è un traffico illecito di rifiuti o un poligono di tiro. Il primo caso avvalorerebbe la teoria di una specificità campana: il traffico illecito di rifiuti, il loro spandimento o "intombamento" nei suoli agricoli con la connivenza degli agricoltori, il secondo, invece, fa risultare il territorio campano un territorio con le medesime problematiche di tutto il globo terraqueo antropizzato.
Lascia, dunque, quantomeno perplessi, il fatto che gli uomini delle Istituzioni, incaricati dei sopralluoghi “sul campo” (Arpac e Corpo Forestale), non abbiano rilevato questa anomalia e abbiano, al contrario, tacendola, lasciato trasparire che la contaminazione fosse legata a traffici illegali di rifiuti. In fin dei conti, visto che si è fatto largo uso di elicotteri e foto-interpretazioni su serie storiche di immagini, sembra davvero strano che non si sia rilevata una cosa tanto evidente da essere rilevabile da una semplice analisi delle immagini satellitari disponibili, per tutti e gratuitamente, su google earth!
Ma, tant’è, suggestionati da questa comunicazione che appare strumentale e, sicuramente, parziale, al produttore agricolo, conduttore del fondo, viene prescritta la “caratterizzazione ambientale” ai sensi dell’art. 242 del suddetto d. lgs. 152/06, una procedura complicata e costosissima che comporterà il certo abbandono di quel terreno (5,6 ettari!) e la sua trasformazione in discarica a cielo aperto in mancanza di un agricoltore che lo curi: non solo il contrario di quanto sarebbe auspicabile si perseguisse (la cura, il controllo e la pulizia del territorio), ma una vera follia.
Una follia causata dalla pressione mediatica e popolare, cavalcata da personaggi in cerca di visibilità a buon mercato che, come detto, ha portato a prevedere, per il conduttore del sito in oggetto, gli obblighi di legge previsti per il “soggetto responsabile dell’inquinamento”, ovvero di colui che è responsabile di un “evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito”. Peccato che, come visto, dell’inquinamento da piombo, in particolare nel caso in esame, non solo l’agricoltore non è in alcun modo responsabile ma, al più, ne è vittima certa. Come si è potuti arrivare a questa aberrazione? E' opportuno rammentare che il d. lgs. 152/2006, “norme in materia ambientale” ha, come obiettivo primario, “la promozione dei livelli di qualità della vita umana, da realizzare attraverso la salvaguardia ed il miglioramento delle condizioni dell’ambiente e l’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali” (art. 2 comma 1).
Per esso, il bersaglio dell’inquinamento è l’uomo, la contaminazione è diretta per contatto od inalazione. L’art. 1 del D.L. 136/2013, il cosiddetto decreto Terra dei Fuochi, “interventi urgenti per garantire la sicurezza agroalimentare in Campania”, aveva, invece, come obiettivo, la ricerca di eventuali “effetti contaminanti” sui prodotti agroalimentari (senza che mai, allora come adesso, nessun prodotto agroalimentare campano, nonostante i continui controlli cui sono sottoposti dalle Autorità preposte e dai clienti in Italia ed all’estero, fosse stato oggetto di contestazione per problemi di contaminazioni di natura ambientale) e, da questi, trarre un giudizio di idoneità o meno dei terreni alla loro produzione. Ne discendeva l’eventuale individuazione di terreni della regione Campania non destinabili alla produzione agroalimentare ma “esclusivamente a colture diverse” (il no-food).
Lo scopo era chiaro, la finalità pure: verificare se esistessero prodotti agricoli “contaminati” e, nel caso, evitare che arrivassero sulle tavole dei consumatori. Si tratta di una valutazione prettamente sanitaria ed agricola, non certamente ambientale. Nel gruppo di lavoro a tal fine istituito, sedeva, in rappresentanza dell’Istituto Superiore di Sanità, la dr.ssa Eleonora Beccaloni, autrice di diverse pubblicazioni sull’argomento e che, sino a quel momento aveva sempre sostenuto che, per esprimere il giudizio di idoneità di un terreno alle produzioni agroalimentari, essendo la via di esposizione prioritaria il consumo da parte della popolazione di alimenti contaminati, l’attenzione deve essere focalizzata su di essi o, in subordine, alla quantificazione della quota di contaminanti biodisponibile nel terreno, dunque non quella assoluta, come previsto dalla 152/2006, ma solo quella potenzialmente assimilabile dalle piante in ragione delle caratteristiche pedologiche del terreno.
Ai tecnici non può meravigliare, infatti, che in un terreno come quello in esame, pur in presenza di una relativamente notevole quantità di piombo, questo non sia presente nelle patate analizzate, nonostante le patate si sviluppino nel terreno e, dunque, siano l’organo della pianta più a rischio: i metalli pesanti, infatti, sono disponibili per l’assorbimento (biodisponibili) solo a pH acidi, i terreni di Acerra, come la gran parte di quelli della piana campana, sono terreni a pH sub alcalino, in tali condizioni i metalli pesanti non sono disponibili, se non in minima parte, per l’assimilazione da parte dei vegetali.
Dunque, l’unico dato certo, è che quel terreno è assolutamente idoneo alla produzione agroalimentare, purtroppo, invece, impropriamente, evidentemente a causa di suggestioni alimentate dai media e che hanno fatto breccia persino su alcune delle migliori intelligenze del Paese, convinte che nei terreni fosse seppellito ogni ben di Dio, si è ritenuto di dover fare valutazioni di ordine ambientale che hanno prodotto, all’attualità, l’effetto di cui sopra. Ora, sembra veramente paradossale che, volendo fare delle valutazioni di ordine ambientale, si parta dalla parte di territorio meno frequentata, consapevoli, peraltro, che una eventuale caratterizzazione ed analisi del rischio, contemplando come elementi principali il numero e l’età dei frequentatori, nonché il tempo di permanenza, sia un sito a bassissimo rischio, al contrario dei suoli dei nostri centri urbani, in particolare dei parchi pubblici, frequentati da migliaia di persone, in buona parte bambini, tutti i giorni.
[**Video_box_2**]In un paese normale, come si dice, sarebbe logico attendersi che le scarse risorse fossero investite laddove danno il massimo tornaconto, nel caso specifico, per tutelare la salute delle migliaia di bambini che frequentano parchi pubblici in realtà urbane interessate da decenni di circolazione automobilistica con benzine contenenti piombo, ad esempio.
Ora, il danno è fatto, per fortuna è limitato, anche se, comunque, l’ingiustizia pur se subita da un solo uomo, resta sempre un qualcosa di intollerabile, ma è necessario fermarsi subito per non fare ulteriori danni. Bisogna far cessare il fuoco sulla terra dei fuochi (fatui). Sarebbe il caso che le Organizzazioni agricole, sinora anch’esse suggestionate e colpevolmente silenti, facessero sentire la loro voce a tutela dei loro associati, non lasciando questo compito a pochi singoli ed isolati uomini e donne di buona volontà, sarebbe il caso che ci si muovesse subito per farsi promotori di un’azione legale: un immediato ricorso al TAR per chiedere l’annullamento del provvedimento di interdizione. Il caso dei pozzi di Caivano dimostra che, alla fine, ad onta degli ostacoli frapposti dai pm, il nostro Sistema Giudiziario consente ancora di avere giustizia. Per fortuna.
Silvestro Gallipoli - Dottore in scienze agrarie Resp. Controlli qualità ortofrutta GE.PRO.TER. soc. coop. Di Napoli
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