Dal 27 marzo 2014, in aspettativa dalla magistratura, Raffaele Cantone presiede l'Autorità Nazionale Anticorruzione (LaPresse)

Salvate il soldato Cantone. Fenomenologia del dipietrismo renziano

Claudio Cerasa
Come si dice “supplenza” ai tempi della Leopolda. Raffaele Cantone si vede a prima vista che è un bravo guaglione senza bava alla bocca e senza coltello tra i denti. Ma proprio perché è nu bravo guaglione, prima o poi dovrebbe rendersi conto che nella geografia del renzismo il suo nome rischia di finire nella stessa casella occupata nel passato, all’interno di altri governi di centrosinistra, dal compagno Antonio Di Pietro.

Raffaele Cantone si vede a prima vista che è un bravo guaglione senza bava alla bocca e senza coltello tra i denti, e tra tutti i magistrati in circolazione è forse quello che più si adatta alla nuova epoca del carinismo renziano: vestiti di sartoria, sorriso smagliante, dizione curata, buona montatura di occhiali, perfetto taglio di capelli, tempi perfetti per il tiggì della sera, amicizie giuste nei giornali giusti, contatti giusti nei talk show giusti, pubblicazioni trasversali (Mondadori, per una vita, ora di nuovo Rizzoli), simpatie a destra, a sinistra, persino nel Movimento 5 stelle, grandi passerelle alla Leopolda e sintonia naturale con il presidente del Consiglio. Ma proprio perché è nu bravo guaglione, prima o poi il compagno Cantone dovrebbe rendersi conto che nella geografia del renzismo il suo nome rischia di finire nella stessa casella occupata nel passato, all’interno di altri governi di centrosinistra, dal compagno Antonio Di Pietro.

 

Cantone, si capisce, non è Di Pietro, o almeno non lo è ancora, non ha nulla a che vedere con il filone di magistrati talebani che ha utilizzato nel passato la propria esperienza nelle procure per fare politica, e per sfidare in campagna elettorale le stesse persone sfidate in aula di tribunale. Ma il semplice fatto che non ci sia nulla ma proprio nulla di strano a immaginare che l’attuale presidente dell’autorità anticorruzione possa ricoprire un domani, rivestito di incenso e di fiori profumati, il ministero lasciato gentilmente sguarnito da Maurizio Lupi, le Infrastrutture – lui, o anche il compagno Nicola Gratteri, procuratore aggiunto di Reggio Calabria, attuale presidente della Commissione nazionale per la revisione della normativa antimafia, fortissimamente voluto a Palazzo Chigi, come consulente dei principi, sia da Renzi sia soprattutto da Delrio. E il semplice fatto che Renzi vi abbia pensato, così come all’inizio della sua esperienza di governo aveva pensato al compagno Nicola Gratteri come ministro della Giustizia, fa sì che, nella geometria renziana, Cantone sia diventato il passepartout della moralità, l’etichetta militante del galantomismo, la figurina, con rispetto parlando, con cui il Pd renziano dà di gomito all’opinione pubblica, dicendo, con il sorriso da Mulino Bianco: “I bischeri sono gli altri, noi siamo i buoni, abbiamo quello Buono con noi, quello Buono viene persino alle Leopolda, e di conseguenza il bene sta di qua e il male sta di là”.

 

Lo spot è perfetto, sembra girato apposta per essere proiettato in un ministero importante, come è quello mascariato dell’ex ministro Lupi, e non ci sarebbe nulla di male se fosse un’eccezione alla regola, un gesto disperato e generoso di un politico volenteroso che non vuole far altro che dimostrare che il suo paese ce la fa, e che vuole combattere la corruzione con così tanta grinta e sincerità da essere disposto a offrire un ministero importante, centrale per combattere la corruzione dall’interno, a nu bravo guaglione come Cantone. Se fosse l’eccezione non ci sarebbero grandi dubbi, ma il problema, piccolo piccolo di cui forse si stanno accorgendo anche nel Pd, è che l’eccezione è diventata regola. E far diventare regola l’eccezione del magistrato che aiuta la politica a ritrovare la sua moralità significa non solo trasformare in un giocattolo il povero Cantone ma significa, soprattutto, indebolire la politica. E purtroppo il caso Cantone non è un’eccezione ma è sempre più una regola nel Pd. C’è un’inchiesta che fa crollare una giunta importante come quella di Venezia, il cui sindaco viene scaricato da Renzi senza che ci sia una sentenza definitiva? Si organizzano le primarie e il candidato più votato ovviamente non può che essere un ex magistrato: Felice Casson. C’è un’inchiesta della magistratura che improvvisamente fa crollare mezzo Pd della Capitale? Il sindaco organizza un bel rimpastone e come assessore alla Legalità con delega alla Moralità indovinate chi ci mette? Massì: un altro magistrato, Alfonso Sabella. E ancora: il bravo sindaco di Firenze, Dario Nardella, anche lui del Pd, presenta la sua giunta, e come consigliere alla – rullo di tamburo – Legalità chi ci mette? Un magistrato ovviamente, Giuseppe Quattrocchi, ex procuratore capo della Repubblica di Firenze.

 

[**Video_box_2**]E infine. A Milano scoppia lo scandalo Expo, ricorderete, e Renzi che cosa fa? Per dare pane all’affamata bestia dell’opinione pubblica ecco che dal cilindro salta fuori il nostro eroe: Raffaele Cantone. Per ogni emergenza c’è un magistrato che accorre: un po’ per dare di gomito ai giornali e agli elettori, un po’, a volte, per coprirsi le spalle. Non ci sarebbe nulla di male, in teoria, se l’Italia non fosse l’Italia, se non fosse un paese in cui i magistrati hanno il potere di vita e di morte sui governi, e lo hanno sulle liste elettorali, se non fosse il paese in cui per anni la politica ha delegato alla magistratura il compito di definire non solo ciò che costituisce reato e ciò che non lo costituisce, ma anche ciò che rappresenta il bene e ciò che rappresenta il male. In un certo modo, il concetto, forse, lo ha capito anche il simpatico Cantone, il Di Pietro carino e pettinato del renzismo, che in un libro appena uscito con Rizzoli, scritto con il giornalista dell’Espresso Gianluca Di Feo, dice: “I partiti continuano a dire che la politica deve essere autonoma dalle valutazioni dei giudici ma davanti a ogni caso di malaffare delegano tutto alla magistratura… stabilire l’idoneità di un soggetto a partecipare all’attività politica non dovrebbe essere compito dei pm”. Il libro si chiama il “Male italiano. Liberarsi dalla corruzione per cambiare il paese”. Tema interessante. Ma ci permettiamo di ricordare e suggerire a Renzi che il libro che dovrebbe scrivere un governo che vuole mostrare la sua autonomia dal potere giudiziario dovrebbe avere lo stesso titolo, sì, ma leggermente modificato. Male italiano. Liberarsi dalla supplenza della magistratura per cambiare il paese. In Italia è già successo che la politica abbia provato a colmare alcuni vuoti con la supplenza della magistratura. Non si può dire che sia finita benissimo.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.