Sul tavolo del Corriere
Roma. E’ stato per trentatré anni il pontefice massimo alla Rizzoli-Corriere della Sera, che ha salvato assieme al Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, ed era rimasto incontournable, imprescindibile, anche quando aveva affidato il gruppo editoriale alle cure di Gianni Agnelli. Ebbene, per la prima volta in tanto tempo, Giovanni Bazoli è stato aggirato. Una soluzione definitiva per sostituire Ferruccio de Bortoli alla direzione di Via Solferino non c’è ancora e nessuno negherà al professore (o a Nanni come lo chiamano gli amici) il diritto di essere ascoltato, resta pur sempre il decano, “l’arzillo vecchietto” come lo ha etichettato Diego Della Valle. Tuttavia, non è più indispensabile. Il ponte tra le isole della frastagliata proprietà lo ha gettato Alberto Nagel, amministratore delegato di Mediobanca, che ha convinto Della Valle a sospendere l’astiosa battaglia contro John Elkann, azionista numero uno con il 16,7 per cento del capitale. Così, è stato stretto un patto (depositato ieri in Consob) tra i soci principali che raccoglie il 38,9 per cento e consente di esprimere presidente, amministratore delegato e la maggioranza dei consiglieri. Elkann ha ottenuto che Pietro Scott Jovane resti alla guida operativa, mentre il presidente sarà Maurizio Costa, ingegnere meccanico, già alla Mondadori e ora presidente della Federazione editori. Entra un banchiere come Gerardo Braggiotti, vicino alla Fiat. Contro di lui ha alzato il tiro il comitato di redazione perché fu advisor nell’acquisto di Recoletos, il gruppo editoriale spagnolo all’origine dell’enorme debito della Rcs. In lista ci sono poi Tom Mockridge (già Sky Italia), Laura Cioli (CartaSì), Teresa Cremisi (Flammarion). Fuori dal patto restano Unipol che però ha dato il suo assenso, Urbano Cairo che ha aumentato la quota al 4,6 e presenta tre candidati, la famiglia Rotelli e i fondi di investimento.
E Bazoli? Il banchiere ha definito positivo lo sforzo di Mediobanca per superare le contrapposizioni. Però ha chiesto un nuovo piano industriale, ha confermato le critiche alla vendita della sede di via Solferino e della Rcs libri, non ha nascosto le proprie perplessità su Braggiotti. Bazoli e Intesa Sanpaolo, che egli rappresenta, sono all’opposizione? No, non ancora. “Abbiamo partecipato alla sottoscrizione di questa lista di maggioranza perché abbiamo avuto l’impegno degli altri a che la scelta del nuovo direttore del Corriere risponda a criteri precisi: qualità e indipendenza del giornale nella sua linea tradizionale”, ha dichiarato lunedì Bazoli; parole che hanno fatto balzare sulla sedia i soci di minoranza e la stessa Consob, perché se esiste un patto in grado di determinare l’intera governance, scatta l’obbligo di una Offerta pubblica di acquisto, eventualità sciagurata secondo le tradizioni del capitalismo italiano. Il giorno dopo, così, Bazoli ha precisato che non c’è nessun accordo preventivo, meno che mai sul Corsera. Il direttore uscente ha indicato come successore il suo vice Luciano Fontana. Fuori gioco è Mario Calabresi, direttore della Stampa. Tra i pattisti si sarebbe discusso di Carlo Verdelli già direttore della Gazzetta dello Sport, che non piace a Della Valle per una vecchia ruggine a proposito della Fiorentina, e di Sarah Varetto che dirige Sky News. A dare le carte è sempre Nagel, mentre Bazoli mette i paletti a mezzo stampa. Difficile scegliere un direttore che non sappia l’inglese, ma non si sa mai, in tempi di rinnovamento nella continuità.
In ogni caso, il presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo non molla, non è nella sua natura, né in finanza né in politica. A chi gli chiede su Ferruccio de Bortoli sindaco di Milano, ribatte: “E’ una fatica immane, non so se augurarlo a un amico”. Molte sono le partite aperte in un mondo bancario in piena transizione: il rimescolamento di carte nelle banche popolari o il cambiamento nelle fondazioni guidate da Giuseppe Guzzetti che con Bazoli ha formato per un quarto di secolo una coppia di ferro. Ma nel salotto buono nulla è più rilevante della eterna battaglia di Via Solferino. La convinzione corrente è che si raggiunga l’accordo un minuto prima dell’assemblea, il 23 aprile; con il grande vecchio seduto al desco, ma non più a capotavola.
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