C'è vita oltre la Merkel. Viaggio nella destra “borghese” tedesca
Berlino. Una donna sola al comando. E nulla più. Dopo dieci anni di Cancelleria e quindici alla testa della Cdu (Unione cristiano-democratica), tutte le strade del centrodestra tedesco portano ad Angela Merkel. Nessun discorso, nessuna analisi può fare a meno di sbattere contro la sua figura. Se ai tempi di Konrad Adenauer e Helmut Kohl, accanto a cancellieri ingombranti c’era un partito che si lacerava e discuteva, oggi la sessantenne Angela Merkel appare come il titolo del libro che la descrive meglio: senza alternative e dunque irrinunciabile. Innanzitutto per la Cdu, partito che in tre lustri ha rivoltato come un calzino, trasformandolo da formazione ideologica e fondata su valori tradizionali e conservatori a forza moderna e aperta alle novità della società, che nella Germania degli anni Duemila sono state incalzanti. La Cdu è molto più disponibile che in passato sui temi dei diritti civili e dell’immigrazione, ha ringiovanito il suo personale politico, ha abbracciato temi un tempo considerati tabù come l’ecologia, ha assorbito, se si vuole anche ruffianamente, il clima politicamente corretto che da sempre domina il confronto pubblico tedesco.
Non tutti, nel partito, hanno apprezzato questo percorso, ma nessuno è riuscito a evitarlo e, soprattutto, a imporne uno alternativo. Neppure sulla crisi dell’euro, dove la cancelliera ha mediato tra le diverse spinte che arrivavano dai poteri che contano in Germania, confezionando la famosa politica dell’austerity che lei stessa declina ora in versione più rigorosa, ora in versione più lasca, a seconda del momento, dell’interlocutore e della propria convenienza elettorale. All’estero passa per una donna intransigente ma al momento ha consegnato all’oblio coloro che avevano fatto carriera all’ombra dell’euroscetticismo. Un paradosso, se si considera che la lunghezza estenuante delle nuove trattative con il governo di Atene sembrerebbe confermare il pessimismo di questi scettici. E a destra ce n’erano tanti di euroscettici. Il bastian contrario della Csu, Peter Gauweiler, si è dimesso per protesta senza che nessuno si affannasse per trattenerlo. Sull’euroscettico della Cdu, Wolfgang Bosbach, si sono spenti i riflettori mediatici. L’ex deputato liberale Frank Schäffler è confinato nella minoranza del suo già minoritario partito. E il leader di Alternative für Deutschland (Afd), Bernd Lucke, ha dovuto sostituire il canovaccio anti euro con quello anti immigrati per trovare nuova linfa. Gli esperti di demoscopia in questi giorni confermano: più la crisi greca si approfondisce, più gli elettori si aggrappano alle certezze. E Angela Merkel è la sicurezza più certa.
Dalla sua irrinunciabilità politica parte il resto del discorso sul centrodestra. Una volta, quando c’era da formare un governo, accanto alla Cdu (e al partito gemello bavarese Csu) c’erano solo i liberali. E invece, nelle ultime tre legislature, due governi su tre sono stati formati con i socialdemocratici, in una sorta di maggioranza di centro-sinistra che comincia a essere qualcosa di più di una mera soluzione di emergenza.
Per il centrodestra, o come si preferisce dire in Germania per “l’area politica borghese”, l’assenza dell’ala liberale è una condizione nuova, che la Cdu sbilanciata a sinistra non sempre riesce a compensare, come dimostrano le politiche sociali dell’attuale governo e i crescenti mal di pancia degli industriali.
Per i liberali è l’opportunità di tornare ad avere voce sul piano politico nazionale. L’Fdp è uscito dal Bundestag con le elezioni del 2013 e nell’anno successivo è gradualmente scomparso da ogni parlamentino regionale in cui si è votato. I commentatori ne hanno decretato la morte cerebrale in attesa che, di voto in voto, anche le ultime rappresentanze locali venissero cancellate dagli elettori. Ma poco più di un mese fa dall’anseatica Amburgo è arrivata una boccata d’ossigeno: 7,4 per cento per i liberali alle elezioni del Land, poco meno di un punto percentuale in più rispetto a quattro anni prima. I liberali sperano che possa segnare l’attesa inversione di tendenza. Troppo presto per dirlo, anche se pure i sondaggi nazionali rilevano timidi segni di ripresa.
Per il momento il centrodestra tedesco marcia diviso. Non per colpire unito ma per competere l’un contro l’altro. La Cdu di Angela Merkel è al governo, accomodata nella grande casa della Grosse Koalition con i socialdemocratici, con il conforto della componente bavarese della Csu di Horst Seehofer (66 anni). L’Fdp del nuovo segretario Christian Lindner (36 anni) vive il disagio dell’opposizione extraparlamentare, costretta a conquistarsi con fatica ogni strapuntino mediatico. La via più semplice per ottenere visibilità è sparare a palle incatenate contro la parte destra della maggioranza: l’ultima arringa di Lindner ha avuto come obiettivo Wolfgang Schäuble, ministro delle Finanze accusato di non porre freno alle politiche di spesa pubblica dei socialdemocratici e di cercare le coperture finanziarie nelle tasche dei cittadini.
Le curve elettorali di cristiano-democratici e liberali, d’altronde, tendono a condizionarsi: più sale una, più scende l’altra, e viceversa. I due partiti, più che complementari oggi appaiono concorrenti, almeno su una fascia di elettori di confine e quando i numeri sono stretti e pochi decimi di percentuale possono segnare la vita o la morte, come è il caso dell’Fdp, allora la strategia è quella di darsele, più che di trovare punti in comune.
“La Cdu si è già abituata a immaginare governi senza i liberali”, ha affermato serafico Gero Neugebauer, politologo alla Freie Universität di Berlino, “e anche se la circostanza crea qualche mal di pancia ai militanti più tradizionalisti, il partito dipende completamente da quel che decide Angela Merkel”. Nella visione della cancelliera, la Cdu va in campagna elettorale con le mani libere per ottenere il massimo dei voti e poi sedersi al tavolo delle trattative di governo con chi la matematica delle urne rende disponibile. Non c’è gioco di squadra con un alleato preferito, ma una semplice corsa per arrivare primi e dettare le regole dell’alleanza. Quasi con chiunque.
Le Fondazioni ufficiali, i pensatoi outsider
Con questi chiari di luna, non sorprende che i laboratori politici vicini ai due partiti non abbiano in evidenza temi di lavoro comune. Data la solidità delle strutture partitiche, in Germania sono le fondazioni legate ai partiti a mantenere un peso fondamentale nella realizzazione delle strategie. E sia la cristiano-democratica Konrad Adenauer Stiftung sia la liberale Friedrich-Naumann-Stiftung sembrano concentrate sui rispettivi cortili di casa. Alla guida della prima, la cancelliera ha piazzato da sei anni Hans-Gert Pöttering, figura storica del Partito popolare europeo, uomo amabile e felpato, per curriculum e anagrafe più attento agli equilibri esistenti che alle avventure. Quella liberale vive invece pene e ansie del suo partito alla ricerca del consenso perduto (in parte verso la Cdu). L’ultima pubblicazione apparsa sul sito online è la recensione di un libro di Holger Löttel, giovane storico classe 1977, sulle diffidenze e i sospetti che accompagnarono Konrad Adenauer negli anni di collaborazione governativa con i liberali. Il succo: non fu un matrimonio d’amore. Morale: Angela Merkel ha almeno un precedente illustre.
Qualche passo in avanti lo hanno compiuto i giovani dell’Unione (il raggruppamento che unisce le due anime dell'universo cristiano-democratico, Cdu e Csu), raccolti attorno alla rivista Entscheidung, cioè Decisione. In un numero dello scorso anno, intitolato al futuro del liberalismo in Germania, hanno preso di petto il rapporto fra Cdu e Fdp, obbligando esponenti di entrambi i partiti al confronto. “Una politica borghese non può che essere portata avanti da partiti borghesi”, ha scritto il giovane parlamentare conservatore Philipp Missfelder, “ed è per questo che in Assia ho fondato un gruppo di lavoro comune fra giovani della Cdu e dell’Fdp che, partendo dai temi economici, lavori all’obiettivo di un’alleanza strategica di lungo periodo”.
Sul versante liberale il fortino culturale ufficiale deve fare i conti anche con la concorrenza interna, frutto dello sfilacciamento del partito. Da qualche tempo il battagliero capofila dei liberisti Frank Schäffler ha messo su un suo think-tank, Prometheus, sul modello dei pensatoi americani, per far proseliti contro la passione dei tedeschi per lo stato paternalista e convincerli a convertirsi alle virtù della libertà individuale. Lo accompagnano Thomas Mayer, 60 anni, ex capo-economista alla Deutsche Bank e Clemens Schneider, 34 anni, dottorando con una tesi su Lord Acton. Sul sito online brevi pillole di politiche liberiste: l’illusione dello stato erogatore, critiche liberali all'accordo di libero scambio con gli Usa, euroscetticismo, accuse al salario minimo. Se si confronta questo pacchetto con l’agenda della Cdu di Angela Merkel, saltano agli occhi solo differenze.
Il campo borghese maggioritario nel paese
Così a provare a rimettere insieme i cocci di quel che fu il centrodestra si distinguono soprattutto alcuni editorialisti, liberi pensatori che muovono le acque sui media e alimentano un dibattito cui la politica ufficiale presta ancora un’attenzione distratta. Tra questi Wolfram Weimer, conservatore, che in un articolo sull’Handelsblatt aveva evidenziato per primo la svolta nel paradigma culturale tedesco: “Dopo due decenni, la placca tettonica della Bundesrepublik torna a scivolare verso il campo borghese. Se in Bundestag esiste una maggioranza teorica in seggi di sinistra (Spd, Verdi e Linke), quando si va a contare i voti espressi dagli elettori emerge una maggioranza elettorale di centrodestra (Cdu-Csu, Fdp e Alternative für Deutschland). E’ l’esatto contrario di quel che era avvenuto nella legislatura precedente e questo significa che in Germania si sta affermando una nuova maggioranza strutturale borghese”. Secondo Weimer non è più la caricatura di un paese profondamente ingiusto, diviso e interessato alla redistribuzione della ricchezza a preoccupare i tedeschi, ma la costruzione di una libera società civile: “C’è un nuovo sentimento neo-borghese che nei prossimi anni troverà una strada politica per ricondurre negli argini uno stato straripante”.
Non tutti i commentatori condividono però l’ottimismo di Weimer. Il caporedattore della Wirtschafts Woche, Dieter Schnaas, ad esempio, pensa che ai liberali non basti agitare il laissez-faire per tornare a essere attraenti ma che debbano aggiornare la loro proposta di liberalismo come difesa dalle minacce di ogni tipo di potere: “Non solo contro il potere dello stato ma anche contro quello dei grandi gruppi economici. Non solo per la libertà di commercio a Wall Street ma anche per buone condizioni di lavoro nelle fabbriche del Bangladesh. Non solo a favore della libertà dell’imprenditore di trattare i propri assunti come gli pare, ma anche di quella degli impiegati di essere ben retribuiti. Senza dimenticare il diritto del singolo cittadino all’autodeterminazione dei propri dati personali contro l’algoritmico sfruttamento dei grandi consorzi”.
Argomenti che avevano fatto breccia nel cuore di Christian Lindner, il giovane segretario cui l’Fdp ha affidato le speranze di rinascita. “Per troppo tempo siamo apparsi come i difensori degli interessi di singole categorie”, aveva detto Lindner all’indomani dell’insediamento, “mentre dobbiamo riappropriarci dei valori liberali originari, come tolleranza e responsabilità individuale e lottare per superare le diseguaglianze di partenza che impediscono di emergere ai talenti che vorrebbero farlo”. A volte, però, si tratta solo di guerre di parole: non si capisce perché se i socialdemocratici redistribuiscono risorse agli impiegati pubblici fanno politiche generali e se i liberali abbassano le aliquote fiscali agli albergatori fanno invece politiche clientelari.
A difendere l’onore di un filone oggi bistrattato come il neoliberalismo è dovuto intervenire qualche tempo fa con un discorso ufficiale addirittura il presidente della Repubblica Joachim Gauck, uno che la libertà se l’è sudata con la dissidenza sotto la Ddr: “Libertà della società e libertà dell’economia vanno all’unisono”.
Infine c’è il problema che la nuova, annunciata tendenza neo borghese dovrebbe poggiare su partiti politici che non sono al momento compatibili. Cdu e Fdp a oggi non stringerebbero mai un’alleanza di governo con l’Afd e, se è vero che le percentuali contano, nel sistema tedesco contano di più i seggi, per cui se uno non riesce a superare la soglia del 5 per cento in Parlamento non ci entra e non conta nulla. E allora il gioco torna alla casella di partenza, presidiata da Angela Merkel. Che non ha una visione articolata di un centrodestra da costruire nelle sue diversità, ma quella egemonica di una Cdu da rendere sempre più forte. A scapito degli altri. Dell’Fdp, di cui non ha dimenticato gli scontri nella passata legislatura sul calo delle tasse, cui i liberali imputano l’inizio del declino elettorale. E soprattutto dell’Afd, che rischia di diventare una spina nel fianco destro potenzialmente destabilizzante e alla quale, a parte qualche componente minoritario dell’ala più conservatrice, nessuno nel gruppo dirigente della Cdu intende concedere la minima apertura.
Fra i commentatori politici si specula su quale potrebbe essere il futuro partner di governo della Cdu dopo le elezioni del 2017, se la Merkel si ripresenterà per la Cancelleria. L’Fdp, se i liberali torneranno in vita, sfruttando magari il disagio degli industriali. Forse i Verdi, se mai riusciranno a risolvere il dilemma fra integralismo ecologista e libertà. Ma non è detto che la cancelliera non punti al successo definitivo, quello sfuggitogli nel 2013 per una manciata di voti: la maggioranza assoluta. Superare Kohl e raggiungere Adenauer, nell’ultima partita della sua vita politica.
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