Le femmine cinesi continuano a sparire perché il figlio unico è ancora legge
Roma. L’attivista americana Reggie Littlejohn, che con la sua associazione Women’s Rights without frontiers si impegna da anni contro gli aborti forzati e la politica del figlio unico in Cina, sul suo sito accusato di cecità voluta sia l’Amministrazione Obama sia l’Onu. In un post di qualche giorno fa, ribadisce che gli aborti selettivi per sesso in vari paesi asiatici e gli aborti forzati cinesi (questi ultimi giustificati dall’obbligo per ogni coppia, stabilito per legge, di non avere più di un figlio) sono da considerare “il più grande crimine commesso oggi contro le donne”. Consumato nella sostanziale indifferenza – per non dire connivenza – dell’Agenzia per la popolazione (Unfpa), finanziata lautamente dagli Stati Uniti e dalle Nazioni unite. E mentre la Conferenza annuale sullo status delle donne, conclusasi il 25 marzo all’Onu, ha pensato bene di condannare un unico stato, Israele, per violazione dei diritti delle donne nel mondo (palestinesi, nel caso in oggetto), sfidando qualsiasi senso del ridicolo, i dati dell’ultimo censimento cinese dicono che lo scarto tra maschi e femmine (la cosiddetta sex-ratio) nel paese è stata nel 2014 di 115,88 maschi nati ogni 100 femmine.
Per valutare come merita questo dato, bisogna pensare che la media mondiale è di 103-107 maschi ogni cento femmine. Si tratta comunque, hanno sottolineato le autorità cinesi, di un bel progresso rispetto all’ancor più spaventoso scarto di dieci anni fa: nel 2004, la sex-ratio aveva toccato infatti la cifra di 121,18 maschi ogni cento femmine, la più alta di ogni tempo. Ma la Cina continua a essere il luogo dove più grave è quello che si chiama comunemente “squilibrio di genere”, e dove questo “dura dal più lungo periodo e ha colpito il maggior numero di persone”, ha ammesso la Commissione governativa sulla popolazione.
Nel 2013, per provare ad arginare un fenomeno che già ora causa problemi e che in prospettiva rischia di diventare catastrofico (si pensa a quando in Cina non ci saranno abbastanza persone in attività per pagare le pensioni agli anziani), sono state alleggerite alcune restrizioni previste dalla politica del figlio unico, retaggio mai davvero dismesso del comunismo cinese anni Settanta. Si possono avere due figli, per esempio, se uno o entrambi i componenti della coppia sono figli unici, e ulteriori concessioni sono riservate alle famiglie delle zone rurali, dove è lecito il secondo figlio se la prima volta nasce una femmina. Ma ora l’opportunità di individuare il sesso del figlio atteso con una semplice analisi del sangue ha aumentato la possibilità di ricorrere all’aborto selettivo. In teoria in Cina quel test sarebbe vietato. Ma in realtà (come scrive il sito di Radio Free Asia), è molto facile trovare agenzie e laboratori in grado di spedire campioni di sangue all’estero per aggirare il divieto. In ogni caso, dice Reggie Littlejohn, finché non sarà del tutto archiviata la politica del figlio unico (tuttora vigente e tuttora sostenuta da multe salatissime e perfino da pene detentive per i trasgressori, dal sequestro di beni e della casa e dalla perdita del lavoro) la piaga dell’aborto selettivo delle bambine non avrà fine.
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