Massimo Bossetti con la moglie

Il caso Yara, ovvero l'esordio del format (tutto italiano) del giustizialismo on demand

Ermes Antonucci
Netflix, il colosso dello streaming on demand in arrivo in Italia, starà già pensando di comprarne i diritti. Il format dei colloqui in carcere d’altronde è un'esclusiva nostrana, la nuova frontiera del vouyerismo mediatico-giustizialista, difficilmente esportabile.

Netflix, il colosso dello streaming on demand in arrivo in Italia, starà già pensando di comprarne i diritti. Il format dei colloqui in carcere d’altronde è un'esclusiva nostrana, la nuova frontiera del vouyerismo mediatico-giustizialista, difficilmente esportabile, ma che di certo non si fermerà a narrare le futili conversazioni tra Massimo Bossetti e consorte, visti gli alti ascolti di cui può godere. Lo dimostrano i primi due episodi della saga Yara – dal nome di Yara Gambirasio, ragazzina tredicenne scomparsa nel 2010 e il cui cadavere è stato ritrovato l’anno dopo. Per mantenere l'attenzione dei telespettatori ci sono anche i sottotitoli: “Se veramente hai fatto qualcosa, voglio che me lo dici adesso”. Bossetti non risponde, ed è subito scoop. Il nulla che diventa oggetto di masturbazione forcaiola collettiva. Ma il colpo di genio degli autori deve ancora arrivare. A fare il suo ingresso sulla scena nella seconda puntata, ancora in onda sulla rete nazionale, è il presunto corpo del reato: i due coltellini ritrovati in casa da Marita. "Buttali via subito", suggerisce all'istante il muratore di Mapello. Ed ecco che la più normale delle reazioni da parte di un tale che, con sincerità o meno, asserisce di essere solo vittima di una grande persecuzione giudiziaria, diventa, nel fracasso del tritacarne mediatico, un tentato inquinamento delle prove ad opera dell'indiziato.

 

Giulia Massari, scomparsa quest’anno, scriveva sul Mondo più di cinque decenni fa che l’indiziato in Italia "è un cittadino che si presume, sulla base di lievi o gravi indizi, possa essere colpevole d'un crimine: si presume che egli tale sia, ma non lo si sa con certezza, e però dal momento del suo arresto già tale egli è per la stampa, talvolta per la magistratura, per gran parte dell'opinione pubblica". Egli finisce pure in carcere, grazie all'uso e all'abuso della custodia preventiva, e il principio della presunzione d'innocenza va definitivamente a farsi benedire, ancor più se a foraggiare la colpevolizzazione mediatica dell'indiziato ci pensano gli stessi inquirenti, che a norma di procedura penale (art. 358) avrebbero formalmente anche l'obbligo di ricercare prove a discarico della persona sottoposta alle indagini. Abbiamo l'ennesima conferma, invece, ora, che ad affollare i palazzi di giustizia e le procure ci sono anche novelli esperti di comunicazione, con al seguito staff adibiti al montaggio video di colloqui in carcere che sarebbero assolutamente riservati. In corte d'Assise, dove Bossetti è atteso, ci si sta organizzando a dovere. Al fianco dei sei giudici popolari, si starebbe pensando di selezionare aspiranti videomaker ed operatori di marketing tra i neolaureati, pure per affievolire le pene provocate dalla disoccupazione giovanile. Adecco e Manpower attendono. Anche se non si esclude che possano essere direttamente i pubblici ministeri, così attenti alle nuove esigenze mediali del mondo che cambia, ad aprire i loro account su Periscope e dare libero sfogo alle proprie passioni filmiche.

 

[**Video_box_2**]In tutto ciò, il processo reale ancora non è cominciato. Partirà il 3 luglio, a più di un anno dall'arresto dell'indagato ora imputato, sempre che i difensori di quest'ultimo riescano ad esaminare le 60mila pagine del fascicolo redatto dagli scribi inquirenti. Con il preoccupante dubbio, però, che l'improvvisa escalation del flusso (illegale) d'informazioni provenienti dagli archivi giudiziari nelle ultime settimane, possa essere dovuta ad un timore sempre più concreto negli inquirenti che gli elementi raccolti a sostegno del proprio impianto accusatorio, e in particolare la prova del dna, non reggano in fase dibattimentale. Risultato: l'opinione pubblica (inclusi i giudici, ancor di più quelli popolari), va cotta a puntino, in modo tale che la sentenza morale impressa nella coscienza collettiva possa indirizzare alle stesse conclusioni un procedimento giudiziario dalle funzioni solo formali. Perché di "giusto", in tutta la vicenda, di fronte a costanti violazioni di disposizioni costituzionali, procedimentali - e non diciamo deontologiche, messe in soffitta dai giornalisti nello stesso momento del loro concepimento - sembra proprio che non ci sia assolutamente nulla. In pericolo vi è, invece, la dignità personale. Non del Bossetti, bensì la nostra, spettatori passivi di un omicidio in diretta di ogni tutela giuridica. I feticisti delle manette, nel frattempo, gongolano. Manca solo il politico di turno, gli autori cercheranno di infilarlo nel prossimo episodio. Premere il tasto verde per il televoto.

Di più su questi argomenti: