Il grande bluff dell'eterologa

Roberto Volpi
E’ un fallimento. Una disorganizzazione generale. Un mercato sgarrupato per una domanda numericamente mediocre per una procedura mediocremente efficace spacciata per miracolosa.

Qualcosa non funziona. Anzi, diciamo meglio: niente funziona. A un anno e due mesi dalla sentenza della Corte costituzionale che ha cancellato il divieto di fecondazione eterologa, la fecondazione eterologa in Italia è peggio che in alto mare. Spazzati via i grandi proclami alla “siamo pronti” lanciati dalla Regione Toscana, che litigava già un anno fa col ministero della Salute perché non forniva le linee guida e ancora non è riuscita a procacciarsi neppure un ovulo, della fecondazione eterologa rimangono i tristi dati forniti appena l’altro ieri da Giulia Scaravelli, responsabile del Registro procreazione dell’Istituto Superiore di Sanità. Ma che dico tristi, inconsistenti. Quanti sono i bambini nati grazie all’eterologa? Stendiamo un velo pietoso, praticamente zero. Quante sono le coppie in attesa? Altro velo pietoso. Dalle ventimila l’anno – contrabbandate da tanti cialtroni – che avrebbero preso la via dell’estero per sottoporsi all’eterologa alle tre-cinquemila della stessa Scaravelli, alle più ragionevoli duemila dell’Osservatorio sul turismo procreativo ecco che siamo planati, di discesa in discesa, alle 420 coppie italiane che nei primi cinque mesi dell’anno hanno infine ricevuto il pacco dono (dono? ma quando mai) delle cellule germinali congelate arrivate, dopo conveniente shopping, in prevalenza da Spagna e Danimarca.

 

Chi compra cosa e dove e a che prezzo? Ciascuna regione per sé e la Corte costituzionale, che ha avviato la rivoluzione egualitaria dell’eterologa, per tutti. Facile prevedere l’ingresso in campo della Magistratura. Appalti per gli ovuli non affidati al miglior prezzo, fornitori inattendibili, merce scadente, concorrenza sleale. Aspettiamo che intervengano le coop, magari l’ARCI, grande propagandista dell’eterologa autoctona. Intanto l’Associazione Luca Coscioni ha già fatto sapere che non c’è stata abbastanza pubblicità, che il Ministero ha perso l’occasione d’incoraggiare segnatamente l’ovulo-donazione, della quale non si vede l’ombra neppure in filigrana. Doveva essere un tripudio, con coppie che si accalcavano a migliaia, a decine di migliaia, fuori dai centri di PMA nel frattempo che questi ultimi ricevevano donazioni su donazioni. E’ un fallimento. Una disorganizzazione generale. Un mercato sgarrupato per una domanda numericamente mediocre per una procedura mediocremente efficace spacciata per miracolosa. Ci si organizzerà, per carità, ce l’hanno fatta tutti, gli spagnoli, i greci, i cecoslovacchi – mica solo i perfettini del Nord Europa, che sulla vita, come darla e più ancora come toglierla, ne inventano sempre qualcuna delle loro. Ci si farà a far rientrare pure ovuli e spermatozoi in quel mercato comune europeo facilitato che una volta era del carbone e dell’acciaio, e ora è delle cellule riproduttive. Ma intanto già siamo al punto di preferire, come affermato dall’andrologo Ermanno Greco, “che sia il paziente a occuparsi dell’importazione”. Che pensi lui a quale fornitore rivolgersi, a contrattare il numero e il prezzo degli ovuli, alla spedizione. Una roba, per capirci, da “consigli per gli acquisti” del buon Maurizio Costanzo del tempo che fu. E non è detto che non si vada proprio da quella parte, con l’eterologa.

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