L'isola di Pianosa come una Ellis Island italiana, istruzioni per l'uso
Roma. L’Europa fa melina? E allora ci vuole un piano per i profughi che veda l’Italia impegnata (come già fa ora, costretta, quasi in solitudine) in pattugliamenti, raccolta, soccorso, smistamento e accertamento su aventi diritto o meno all’asilo, per arrivare a una ripartizione secondo le quote o al rinvio ai paesi d’origine. A patto però che ci sia almeno una condivisione di costi con i partner europei più renitenti, ha scritto ieri sul Foglio Maurizio Crippa. E anche a patto di trovare una “Ellis Island” italiana, ha aggiunto, che limiti le situazioni di disagio e conflitto con la popolazione residente, e che renda più gestibile qualcosa che magari non sarà un’emergenza – è la tesi di chi sottolinea che una regione come la Lombardia può ben permettersi di accogliere circa 66 profughi ogni centomila abitanti – ma di sicuro le assomiglia parecchio, quantomeno in termini di allarme.
Serve allora una soluzione almeno temporanea (ed Ellis Island, porta d’ingresso in America, lo era per definizione), che potrebbe giovarsi di un posto come Pianosa, l’isola del Tirreno a poca distanza dall’isola d’Elba che ha legato il proprio nome a un istituto penale chiuso definitivamente nel 2011 (sull’isola ora c’è solo un albergo di dieci camere gestito da una cooperativa di detenuti in semilibertà e di volontari). Quando Massimo Nava, giornalista del Corriere della Sera, aveva proposto l’isola qualche mese fa come possibile luogo di accoglienza e smistamento per i profughi, la cosa provocò reazioni in maggioranza negative. Potrebbe essere invece una buona idea, dice al Foglio Ernesto Galli della Loggia, storico ed editorialista del Corriere, “a patto però di sapere che servono due condizioni preliminari: la sistemazione delle strutture, che immagino piuttosto fatiscenti, e la garanzia che il soggiorno in un luogo di quel genere non possa necessariamente superare le tre o al massimo le quattro settimane. Ma se pensiamo alla lentezza delle attuali procedure per capire se un profugo abbia davvero diritto all’asilo, già si capisce che, prima ancora di scegliere il luogo di accoglienza e smistamento, sarebbe necessario rafforzare le strutture amministrative che si occupano della faccenda, delle quali sappiamo che sono al collasso. L’isola di Pianosa ha come vantaggio il fatto che non c’è popolazione residente – circostanza che, par di capire, è considerata essenziale – a differenza della Maddalena, dove pure esistono gli immensi manufatti costruiti per il G8 del 2009 poi trasferito all’Aquila. Oggi adibiti al nulla e in stato di abbandono totale. Mi chiedo però se l’Italia sia davvero in grado di praticare quella che possiamo chiamare ‘opzione Pianosa’ con le garanzie appena dette, che poi sono anche le uniche perché non diventi rapidamente una situazione disumana; per il resto, magari quel passaggio potrebbe essere gestito con l’aiuto di responsabili delle ambasciate di alcuni dei paesi d’origine. Di certo non la Siria o l’Eritrea, ma magari il Mali e il Niger sì”.
Il giornalista Riccardo Bonacina, che si occupa da molto tempo di dar voce al mondo del volontariato e dirige Vita.it, “magazine e media del non profit e della società civile italiana ed europea”, vede invece solo difetti nella proposta di fare di Pianosa la Ellis Island italiana: “Un conto era l’isolotto a un chilometro da New York, un conto è l’isola già colonia penale e luogo di confino. Ma prima ancora contesto in pieno l’idea che siamo in emergenza. Non è vero che siamo ‘assediati’. Stiamo parlando, anche in questi mesi di aumento di arrivi, di cifre sostenibilissime dalle nostre regioni. Parliamo di unidicimila persone tra Liguria, Lombardia e Veneto: davvero sono cifre da ‘invasione’? Lo sono anche ora, con l’Istat che ci ha appena comunicato come il saldo tra chi nasce e chi muore in Italia è diventato negativo? L’Europa si comporta in modo inammissibile, è vero, ma la realtà è ben diversa da quella che racconta ogni sera Salvini in tv. Per fare spazio ai profughi non c’è bisogno di confinarli a Pianosa, nemmeno temporaneamente. C’è bisogno di organizzazione, e gli strumenti ci sono”.
Forse a questo pensa il governatore del Piemonte, Sergio Chiamparino, che ieri, a margine di una iniziativa sull’Expo, ha detto che “persino le caserme attive che hanno solo un presidio logistico potrebbero ospitare i profughi per la prima accoglienza. E’ meglio che lasciarli in strada”. Ma anche lui insiste sull’aspetto dei tempi troppo lunghi “per verificare la sussistenza dei requisiti per chi richiede asilo”, mentre sei mesi dovrebbero essere “il tempo massimo”.
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