Operatori della Corce Rossa al lavoro al confine tra Italia e Francia per dare aiuti ai migranti (foto LaPresse)

I Peace Corps di Ferrara sono una bella sfida per il Pd. Già accade a Milano

Stefano Boeri
Prendetevi cura, voi per primi, delle sofferenze vissute nei territori. Giuliano Ferrara tocca un punto sensibile, sfidando il governo Renzi – e implicitamente il Pd – a inventarsi una nuova politica di attenzione attiva verso le emergenze.

Al direttore - Prendetevi cura, voi per primi, delle sofferenze vissute nei territori. Giuliano Ferrara tocca un punto sensibile, sfidando il governo Renzi – e implicitamente il Pd – a inventarsi una nuova politica di attenzione attiva verso le emergenze. Verso quelle parole dure come sassi – sicurezza, illegalità, degrado, abbandono – che le statistiche ridimensionano e che invece, ci piaccia o no,  sono percepite come un’emergenza primaria. Nel quotidiano di milioni di italiani che abitano le periferie sociali e geografiche delle nostre città, la domanda di attenzione si accompagna infatti alla rassegnazione. La politica è vicina a sprazzi e a parole e le istituzioni sono, quasi geneticamente, lontane.

 

Nel suo articolo Giuliano Ferrara richiama l’esperienza dei Peace Corps americani e sollecita il governo a sperimentare forme innovative di servizio civile. Perché allora chiamare in causa il Pd? Verrebbe da dire perché i settemila circoli Pd sono, come gli oratori, l’unica rete non commerciale di luoghi aperti diffusa nel territorio italiano. Una rete diffusa e vicina, a volte perfino consustanziale, al disagio, alla sofferenza, alla rabbia. Una rete ancora viva – con esempi sorprendenti – ma spesso silente, punteggiata da nodi arrugginiti che si accendono solo quando scatta un segnale dai centri del partito (primarie, congressi, feste). O quando si tratta di raccogliere voti, per la corrente e i suoi rappresentanti di zona. La sfida che Ferrara lancia al governo va accolta soprattutto dal Pd come paradigma di un partito diverso; che dai suoi mille luoghi faccia nascere una cultura dell’abitare e non solo del presidiare – come prefetti di un partito di eletti – il territorio.

 

Abitare significa circoli di cittadini che camminano nei quartieri, salgono le scale delle case popolari senza ascensori, organizzano incontri settimanali con le forze dell’ordine, segnalano le occupazioni abusive e le mille illegalità diffuse e tollerate, aiutano chi non ha aiuto. Non ronde, ma compagnie di cura, che sanno bene quanto la sicurezza non sia solo garantita dal controllo ma dall’intensità delle relazioni. Ma che accettano la sfida del prevenire, del denunciare i rischi perché se non ci si può più permettere di lamentarsi, non è più neppure il tempo della delega. Non mancano esempi, fuori e dentro la politica, fuori e dentro il Pd.  Ma sono dimenticati, come i casi estremi che affrontano.

 

[**Video_box_2**]A Milano, da ottobre, un gruppo di ragazzi tra i 18 e i 25 anni del quartiere Molise-Calvairate (nella zona sud-est della città) ha deciso, dopo l’incendio doloso dell’appartamento di una inquilina di nazionalità egiziana, che era il momento di muoversi. E così ogni settimana girano la notte per i caseggiati delle case popolari, segnalano alle forze dell’ordine le occupazioni abusive, aiutano gli anziani, presidiano gli ingressi, organizzano momenti di incontro per i giovani coinquilini. Non hanno un nome e neppure un codice politico; soprattutto non hanno un denominatore comune che non sia l’abitare il loro quartiere. Tra di loro un giovane egiziano e un giovane marocchino, figli di residenti nei caseggiati, esasperati e abbandonati a se stessi come i vicini italiani. Negli occhi di quei ragazzi coraggiosi e decisi ho visto qualcosa che ci capita di rado di incontrare nella cultura della sinistra italiana: la voglia di mettere insieme creatività e generosità. Di inventare pratiche di presa in cura del territorio spregiudicate e inaspettate; eppure civili, pacifiche e soprattutto utilissime.

 

La verità è che non c’è una politica della sicurezza diversa da quella dell’abitare. E che i circoli Pd potrebbero diventare i protagonisti di una campagna di riconquista, civica e capillare, del territoro italiano. Quali altre e più profonde legittimazioni, per un partito che vuole rappresentare la nazione?