Il referendum greco e la minoranza Pd senza meta
SCENARIO 1.
L’affaire è complicato assai. Se al referendum di domenica vince il sì, difficilmente le negoziazioni potranno ripartire l’indomani come se non fosse successo nulla. L’attuale premier greco ha detto di non essere uomo per tutte le stagioni. A rigore dunque dovrebbe dimettersi: i greci non torneranno per questo al voto, non c’è tempo, subentreranno dirigenti meno sprovveduti in materia di trattativa internazionale.
Se tarderà a dimettersi, Berlino lo lascerà rosolare a fuoco vivo, chi si priverebbe del piacere di dire: lei non è riuscito a convincere nemmeno il suo stesso popolo, ora che è stato sconfessato come può pensare di trovare comprensione da queste parti? A Roma glielo direbbero un filo più diretti, hai voluto la bicicletta? mo’ pedala e fuori dalli cojoni.
Ad Angela Merkel: 9. E’ quasi insopportabile quando difende il suo partito delle barbabietole da zucchero ma sa giocare su ogni registro, dal sorriso alla ferocia per tenere a bada i bavaresi. Con Schauble, al gioco dei due poliziotti sono insuperabili. Per Tsipras, il voto è 4. Il coraggio non gli fa difetto, ma lo stesso senso della strategia che avevamo noi del ‘68, cioè nessuno. Più o meno da lì vengono tutti quelli che si sono infiammati per lui, le Spinelli, i Rodotà, i Maltese, le Castelline, i Flores. Brava gente che ogni saggio leader però dovrebbe evitare con cura perché arrivano sempre tardi in gruppo, tardi e portano sfiga. Ai piombatori di bare, uno zero senza appello.
SCENARIO 2.
E se invece Tsipras dovesse vincere, se come è più probabile il popolo greco dirà di no? Davvero l’indomani il premier ellenico si ripresenterà, come ha detto, a Bruxelles più forte e più bello che pria? Ho qualche dubbio. Ci vorrà un po’ di tempo per la decantazione, per eliminare le scorie e ci sarà gelo. Poi comincerà uno sfibrante minuetto tra Hollande pro-accordo comunque e Merkel che dovrà mediare tra Parigi e i falchi di casa sua. Hollande non ha la forza per imporre a tutta l’Unione un accordo ma ne ha abbastanza per impedire che non si faccia nulla. Ma la partita può interrompersi in qualsiasi momento, uno scatto d’ira, un moto d’orgoglio potrebbero risuonare come lo sparo di Sarajevo. Dispiace dirlo, direbbe il grande Milani, ma c’è da augurarsi davvero che la Grecia se ne vada, torni alla dracma, faccia vedere a tutti come si nuota nelle acque definite sconosciute da Mario Draghi. Se affoga ci avrà almeno fatto un sacro favore, liberarci per sempre di neuropatici e nazionalisti ossessivi, dei Salvini, Meloni, Vendola, Grillo.
Allora Tsipras si meriterebbe almeno 8: per essere riuscito nell’azzardo, infilato un fantastico salame al tavolo dello chemin de fer. Avrà perso nel merito ma conquistato agli occhi dei suoi galloni di statista e agli occhi del mondo che non ama l’euro, a cominciare dagli americani, l’aura di primo martire dell’austerità.
Otto anche a Hollande se per una volta riuscisse a farsi seguire dalla Merkel. Non saprei invece che voto dare a Renzi: da quando è andato in Germania per fare una lectio magistralis sull’Europa alla Humboldt e incontrato la Cancelliera, sembra un illuminato, Anghela qui, Anghela lì, io e Anghela, noi, cioè Anghela e io. Boh.
JACK IS BACK
Così Dominique Strauss-Khan ha annunciato il suo ritorno fra i vivi dopo essere stato assolto dal reato di sfruttamento della prostituzione dal tribunale di Lilla. Il twitt è apparentemente incomprensibile, lui mai si è fatto chiamare Jack, ciò nonostante ha acchiappato oltre cinquanta mila follower in poche ore. C’è già chi usa i vecchi argomenti sulla crisi greca dell’ex direttore generale del Fmi a favore di Tsipras e contro Christine Lagarde, suo successore (mediocre) a Washington. Comunque da oggi fioccano barzellette da caserma, se trovate una saponetta per terra non chinatevi a raccoglierla, se siete femmina ma anche se siete maschio, il carcere si sa può cambiare chiunque. Voto 7 a un uomo che riesce a rimettersi in piedi dopo la tempesta e 1 al velociraptor, predatore carnivoro e mai sazio di culi. Però d’istinto mi verrebbe da dire il contrario, evviva il predatore e chi se ne frega del combattente duro a morire.
FAMIGLIA 1
Il carattere di Giulia Sergio che si è convertita all’islam con il nome di Fatima è da 10: d’altronde ha fatto convertire anche il padre, la madre, la sorella maggiore, la zia del secondo marito e non si sa quante fra cognate, cognati e parenti. C’è dunque grande fede in lei ma poi la senti che dice al padre, non devi più lavorare, sono loro i nostri schiavi e non tu il loro, e ti dici che forse in quella famiglia qualcosa non andava.
FAMIGLIA 2
Mara non ha nemmeno venti anni, la mamma muore d’improvviso, il padre è verosimilmente uno stronzo e a quella età e in Sicilia soffre. Allora prende e va verso il nord, da un centro sociale a un altro, da amico in amico, fino a ritrovarsi nell’ennesimo inutile scontro tra polizia e no tav. Lancia pietre, i fumogeni non glieli fanno ancora tirare, “non ne sono capace” dice. Ma contro cosa protesta ? “Non lo so”. Ben detto, la questione di sapere perché si tirano pietre può interessare solo il giornalista del Corriere: a diciannove anni sentire il dovere di sbagliare da soli è già molto, anzi è tutto.
SANZA META
Fassina passerà l’estate a disegnare percorsi per i territori sulle tracce del popolo democratico scomparso. Con lui Civati e Cofferati e altri. Messa così non sembra politica, piuttosto antropologia culturale. Brancaleone: donde vieni? da nulla parte. Donde vai? Sanza meta. E tu? Pur’anco io ma in tutt’altra direzione. Esame di riparazione a settembre.
NEL PALLONE
La notizia è sconvolgente. Da quando sono entrati nei Brigs, i brasiliani si sentono ricchi e hanno dimenticato come si gioca a pallone. Campanili alla viva il parroco, dai e vai nel nulla, interventi scrocchia ossi, diagonali che manco noi a Milano, attacchi imbarazzanti. E fin qui. Ora nemmeno più i rigori sanno tirare, in questa edizione della Copa America e nella precedente ne hanno sbagliati se non ricordo male sei su dieci, così sono fuori per la seconda volta sempre per mano del Paraguay. Questa volta, Carlos Dunga, l’allenatore, a dieci minuti dalla fine e sul risultato di parità fa entrare apposta un rigorista: quando arriva il suo turno tira di fino ma fuori. 3 alla Seleçao per quello che fu: 2 a Dunga che comincia vestito come un damerino invitato a pranzo dalla Djilma Rousself, poi man mano che la partita si fa tosta si slaccia il colletto e la cravatta mostrando una maglietta della salute rosso fuoco che nemmeno il Landini.
Il massimo dei voti invece alla presidente Bachelet, che il suo Cile vinca o meno stanotte contro l’Argentina la sfida per il titolo continentale. Per coinvolgere tutti, ha organizzato un torneo fra i pueblos indigeni, originari, quelli erano lì prima dell’arrivo dei bianchi. Se la Boldrini avesse cotanto coraggio, sapremo finalmente chi tra i Reti, i Sabini, i Vestini, i Volsci e i Sanniti romperà il culo a quelle cazzare etnie del nord.
Il Foglio sportivo - in corpore sano