Quel figo di Varoufakis, gli inghippi di Tsipras e Hollande (che è vivo)
ELLENICA 1
Non posso parlare male di Varoufakis, Alessandra Sardoni non me lo perdonerebbe e io a lei tengo assai. Piace il greco alle donne, molte dicono che è un gran fico. Incarna l’idealtipo di Alba Parietti quando stava con Stefano Bonaga e faceva sapere che le piacevano uomini con fisico da camionista e cervello da filosofo. Ora Varoufakis non guida il camion, va in motocicletta, è un economista studioso della teoria dei giochi, la branca più difficile, quella a informazione incerta e a somma diversa da zero, il che è pur sempre tanta roba, il guaio è che l’hanno fatto ministro e qualche conseguenza c’è stata. Lui ha giocato, fatto l’inguacchio e tolto il disturbo, con Kawasaki e bella moglie al seguito. Consapevole di avere fatto terra bruciata intorno a Tsipras in ogni sede europea, spiega che ha mollato per favorire la ripresa dei negoziati ma non è stato convincente. Più che a un raffinato gioco a somma non nulla, sembra che abbiano fatto il gioco delle tre carte e dei due compari. Poco marxista e molto trozkista è destinato a brillante carriera come relatore in circoli e consessi alternativi, ce lo sorbiremo ancora per qualche anno, un nuovo Piketty con in più il fascino della prova provata e senza le responsabilità dello “sgoverno”: voto 9 per come si costruisce un’immagine e una carriera (ancora sette mesi fa era un perfetto sconosciuto se non in ambito universitario), 1 per come si sta alla testa di un paese e 0 per come si sta seduti a un tavolo negoziale.
ELLENICA 2
Hollande è vivo. Se Atene resta in eurozona, lo si dovrà anche al presidente francese che ha mandato suoi uomini di fiducia a rivedere e rimpolpare l’elenco degli impegni su cui il primo ministro greco si gioca tutto. La cosa è in sé meritoria ma quanto meno surreale: la Francia è il paese europeo più restio a prendere impegni per il presente e il più lesto a rinviare tutto a un prossimo futuro, insomma non fa però sa e quindi è giusto che insegni: 8 per il garbo istituzionale e 4 per la pigrizia nazionale
ELLENICA 3
Tsipras ha preso un abbaglio politico con i fiocchi. Nel migliore dei casi dovrà accettare un piano con 4 miliardi di tagli in più rispetto a quello bocciato dal referendum (12 anziché 8). Siede al tavolo delle trattative dell’ultima speranza in posizione di maggiore debolezza e non di maggiore forza. Dovrà accettare la frattura nel proprio elettorato, probabilmente la spaccatura in Syriza e disarticolare il blocco sociale su cui si è retto il patto tra comunisti e destra nazionalista, armatori e lobbie militari compresi. Chiederà al parlamento di votare sì con argomenti decisamente opposti a quelli che aveva usato per far vincere il fronte del no. Insomma un gran casino per nulla. E non si dica che è stato fatto per la democrazia: che è forma certo ma anche sostanza e materia. Il grande leader della nuova Europa, fatta finalmente dai popoli contro i mercati, le banche e il neoliberismo, di cui uno scintillante Carlo Freccero annunciava per l’indomani uno storico discorso davanti al parlamento di Strasburgo, non esiste: c’è invece un uomo visibilmente impaurito, infilatosi in un gioco più grande di lui da cui potrà uscire solo grazie alla non inimicizia di Francia e Italia. Voto 5, il suo pallore è commovente, si vede che sono molte notti che non dorme.
Voto 10 e lode invece a Sgruntz, che da Torre Spaccata, Casilina, Roma, Italia, così ha riassunto in un tweet l’affaire greco: “ER PORO DRAGHI”
MONETA
Matteo Salvini nell’ultimo Ballarò ha tirato fuori un biglietto da 10 euro per mostrare come è fatto il male, sottintendendo tutto il rimpianto popolare e suo per una buona, vecchia diecimila lire del vecchio conio. Conduttore e ospiti in studio sono pure sembrati d’accordo. Ecco una cosa così è solo scema e non perché non si possa uscire dall’euro: come la rigiri e qualunque essa sia, che sia povera o ricca, debole o forte, euro o dracma o lira, la moneta non è un semplice pezzo di carta filigranata, è l’equivalente generale delle merci e in quanto tale un concentrato di rapporti di forza, favorevoli agli uni ma sfavorevoli agli altri, insomma la moneta è sempre violenza. Anche quando si presenta con l’aria dimessa della vecchia lira: non c’erano forse squilibri e ineguaglianze indotte dall’inflazione galoppante, non c’erano ceti sociali avvantaggiati e altri svantaggiati anche quando eravamo sovrani monetari in patria? E i papà dei Salvini e delle Meloni non avrebbero preferito allora una moneta più forte che li avesse messi al sicuro? Solo un uomo ha provato ad eliminare la violenza della moneta e ha pensato che il problema andasse risolto alla radice meglio ancora se eliminando chi continuava ad usarla: era il capo dei khmer rossi, tenne per un po’ il potere in Cambogia e si chiamava Pol Pot. Diciamo. Allora che Salvini, Meloni, Brunetta la smettano con questa ossessione contro l’euro che nei nostri confronti non è più né meno responsabile di quanto fosse la lira. Tant’è che fino al 2008 non si sentì un fiato. Per ora dunque voto di gruppo 4, media tra il 5 di Salvini e Meloni che devono ancora studiare e un 2 a Brunetta che invece ha studiato tanto e perciò bara fisso. Non succederà, ma se, pertinianamente cioè per dannata ipotesi si dovesse tornare alla lira e fra un tot d’anni starete ancora lì a caccia di una nuova moneta per aggiustare l’economia, se sarò ancora vivo verrò sotto casa vostra.
ALLEGRA BRIGATA
Sono tornati gli tsiprioti, contenti e cantanti. Al grido di nulla sarà più come prima, la fanno da padroni nei radi talk show dell’estate, il talk costa poco e ha radici decisamente robuste che resistono anche ai fiumi degli Inferi: Renzi non ha torto quando dice che i suoi avversari non sono nel paese ma in televisione. Non si capisce però perché sia tanto allegra la brigata che torna da Atene? Ha forse qui trovato risposte illuminanti alla crisi fiscale degli stati, a livelli di tassazione vessatori, a spese pubbliche che galoppano e non consentono alla mano pubblica di fare investimenti corposi e razionali, a investimenti privati che come è ovvio puntano soprattutto a risparmiare lavoro, alla crescita che non sarà mai come prima e difficilmente ce ne sarà per tutti in Europa, al lavoro cambiato come mai prima nella storia dell’uomo? Macché. Sono contenti perché si fiutano e si riconoscono, scuotono arbusti, sentono che l’obiettivo è vicino, la preda sfiancata. Ecco, ai pistaioli che si avventurano di nuovo nel deserto direi solo di non stancarsi troppo. E di fare bei sogni.Il Foglio sportivo - in corpore sano