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Emiliano, Crocetta e altre delizie su cui s'infrange la rottamazione renziana

Salvatore Merlo
Non potendo sconfiggerli sembra aver deciso di farsene tutore, prima rottamava adesso ripara come può, da sfasciacarrozze a meccanico,dalla Sicilia alla Campania, dalla Puglia alla Calabria, dalla Basilicata fino a Roma, la capitale dove passa un autobus ogni quarantacinque minuti.

Roma. Non potendo sconfiggerli sembra aver deciso di farsene tutore, prima rottamava adesso ripara come può, da sfasciacarrozze a meccanico, dalla Sicilia alla Campania, dalla Puglia alla Calabria, dalla Basilicata fino a Roma, la capitale dove passa un autobus ogni quarantacinque minuti, come ha scritto ieri il Messaggero nella sua cronaca di un ordinario giorno da pendolare in ostaggio dei servizi pubblici cittadini. Ed è infatti Roma la città in cui Matteo Renzi sperimenta su Ignazio Marino il tutoraggio che vorrebbe – ma il volere non sempre s’accorda con il potere – estendere a Rosario Crocetta, a Vincenzo De Luca, a Michele Emiliano, a Mario Oliverio, a Marcello Pittella e insomma a quegli arrufatissimi presidenti di regione, tribuni del popolo e amministratori locali di centrosinistra, che Emanuele Macaluso ha definito “neo trasformisti” perché nei loro volti il vecchio amico di Giorgio Napolitano ha riconosciuto “la fine del Partito democratico, l’arresto della rottamazione e il trionfo confuso dei cacicchi”, fiere fameliche che stanno ai margini della foresta.

 

E allora c’è il pasticcio della Campania, che costringe Renzi all’equilibrismo di sospendere De Luca per insediare De Luca, e c’è il marasma della giunta calabrese con i tre assessori nominati in sette mesi, di cui uno finito in galera, e c’è la “rivoluzione democratica” di Pittella in Basilicata, che è lo stesso slogan di De Luca (e di un noto partito messicano), e c’è infine la Sicilia dei trentasette assessori di Crocetta, roba da far impallidire la composizione pletorica dei governi primorepubblicani, lì dove la signora Borsellino si dimette perché “la misura è colma” (nel pur capiente bicchiere della sua pazienza), e dove il governo regionale periclita al punto che Renzi, un tempo rottamatore di dinosauri in estinzione che si chiamavano D’Alema e Bersani, per evitare nuove rischiose elezioni anticipate preferisce tentare la strada del tutorato. E dunque invia i suoi uomini, i consoli e i legati, come Davide Faraone, in Sicilia, proprio come fa a Roma utilizzando Matteo Orfini, che del Pd è il presidente: applica cioè al sindaco Ignazio Marino, che non è cacicco ma alieno, e al governatore Crocetta, che alieno non è ma cacicco sì, quella che gli uomini della Protezione civile chiamano “strategia di contenimento del danno”, li maneggia insomma come si fa con l’ineluttabile potenza dei fenomeni atmosferici, con i cataclismi, con i terremoti e con la grandine, le piogge torrenziali e le frane. La Protezione civile dispone le tende per gli sfollati, Renzi manda Orfini in Campidoglio a prendere possesso di un ufficietto accanto alla stanza di quel sindaco onesto ma spaesato che aveva tentato di cacciare: “Fossi Marino non starei tranquillo”.

 

[**Video_box_2**]A Palazzo Chigi si sono accorti che non ci sono denti e solventi renziani abbastanza efficaci per corrodere le mura di comuni e regioni. Così Renzi, l’uomo che col suo passo spavaldo tracciava linee perfettamente dritte in un mondo tendente all’obliquo, e viceversa si metteva sghimbescio dinnanzi alle lineari geometrie tracciate dalle speculazioni ideologiche, lui che con talento facile ha pensionato Bindi e Prodi, cioè i pre-pensionati dalle urne, invece con i cacicchi inamovibili ricorre alla saggezza sperimentata e antica della politica: l’equilibrismo, la trattativa, l’arte morbida ed eterna che fu di Andreotti ma anche, per intercettare l’evo contemporaneo, di Enrico Letta, il solo bersaglio grosso, ammettiamolo, detronizzato da Renzi.
Tenta di avvolgerli, condizionarli, li respinge eppure se li tiene, Renzi non può fare altro, come con Crocetta così con il calabrese Oliverio e pure con Emiliano, il ras della Puglia cui il premier in campagna elettorale ha negato la presenza di Maria Elena Boschi (che invece si spese per il sindaco di Bari), lui che, saturo di voti e ammiccamenti grilleschi, di Renzi se ne impipa in tutta evidenza. E adesso i cacicchi, satrapi o campieri, come li si voglia chiamare, si concedono tra loro delle intimità stravaganti, animaletti dello stesso girone infernale: Emiliano e Oliverio, per esempio, oggi vanno in Basilicata a trovare il collega Pittella per protestare tutti insieme contro le attività di ricerca petrolifera che invece il Pd non osteggia. E così mentre Renzi fa il decreto Sblocca Italia, loro l’Italia la bloccano, e mentre lui cerca di sorridergli con l’acrobazia impotente di chi subisce, loro lo spernacchiano e solidarizzano, caserecci e spavaldi come sono, sognano un partitone del sud. Tutti cacicchi tutti.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.