Freidor ti ha incornato, Freidor è morto, tu quasi. Ma sarà sempre Fiesta
Sei intabarrato nel traje de luces, l’abito d’azzurro e oro. Il tuo fido mozo de espadas ti ha aiutato a indossare la chaquetilla che avvolge il tuo petto, e la taleguilla che esalta la forma delle tue gambe. Hai chiesto alla Vergine della Macarena di Siviglia di esserti accanto, le hai affidato il tuo destino, come sempre. Manca poco, la banda suona il paso doble. L’amore. La vita. La morte. Ti guardi allo specchio, i tuoi occhi brillano come una lama di Toledo, sei una maschera iberica, zigomi e mascelle di roccia dei Pirenei, capelli d’aquila nera, sei una freccia scoccata nell’aria, tu fai innamorare le fanciulle. Ti fai il segno della croce, cammini a passi svelti. E’ l’ora, il pubblico dell’arena ti chiama. La plaza de toros ora di Huesca è tutta per te. Sei un figlio della leggenda. Sei un torero, sei un matador, sei Francisco Rivera Ordonez, tu sei “Paquirri”. Sangue e arena. Ti levi il cappello, la montera nera, saluti il pubblico. Gli applausi fioriscono come petali di rosa sui tuoi passi. Guardi gli spalti, è bella l’arena di Huesca, fu inaugurata il 10 agosto del 1929, come un colpo di spada un pensiero ti fende la memoria: tuo nonno, Antonio Ordonez, sta “matando” in compagnia di Luis Miguel Dominguin, mentre un americano con la barba scrive sul suo taccuino, ride e tracanna rosso Rioja, si chiama Ernest Hemingway. Ti levi anche il capote de paseo, la tua cappa di seta. Gli aficionados sanno che è giunta l’ora, da questo momento tutta la storia è la rappresentazione unica di due figure: “Paquirri” e “Freidor”, il torero e il toro. “Freidor” pesa 455 chili, è un buon toro da corrida e tu pensi: gli darò la morte e l’onore che merita un buon toro. Il mondo diventa vermiglio mentri lavori con la cappa, si alza la musica a scandire le tue mosse, le incornate a vuoto, le giravolte, i passi avanti e indietro. Sangue e arena. Ma ancora un colpo di spada, vibrante, ti richiama al passato. Vedi la luce dell’arena di Pozoblanco, anche là ci sono un toro e un torero, i loro nomi li conosci: Francisco Rivera Ordonez e Avispado. E’ il 26 settembre 1984, anche là è arrivato il momento del tercio de varas: tuo padre rotea il capote, la pesante e larga cappa gialla e rosa. E’ la fase più poetica e ricca di figure della corrida e “Paquirri” è una leggenda, è il Francisco Goya del capeando, conosce i segreti delle figure che si disegnano con la cappa, la Veronica, la Chicuelina, la Mariposa e la folla applaude. Avispado carica. Si consuma tutto in un giro fatale di polso. Il toro incorna tuo padre, lo solleva da terra come un fuscello, lo sbatte in aria, il suo corpo è in balìa di una forza mitologica, quintali di potenza. Pochi secondi. Infiniti. Francisco Rivera Ordonez, tuo padre, “Paquirri”, lascia per sempre la sua seconda sposa, bacia con gli occhi sempre più lontani e liquidi la bellissima Isabel Pantoja, e accarezza con una mano tremante il tuo volto che gli appare come un bagliore sulla carretera che lo sta conducendo verso Cordoba, dove non arriverà vivo. Tutta la Spagna piange “Paquirri”. E tu improvvisamente scopri chi sei. Sei Francisco Rivera Ordonez, hai dodici anni, e davanti a te c’è il crudo e unico significato di “Morte nel pomeriggio”, la verità del tuo sangue: sarai anche tu un torero. Come tuo padre. Come tuo zio. Come tuo nonno. Toros, olè.
Ventisei anni dopo, quel bambino è ancora la tua ora senz’ombra, la tua alba e il tuo tramonto, la Morte nel pomeriggio, quel pomeriggio, non ti ha mai abbandonato e davanti a te c’è un toro chiamato “Freidor”, che nome bizzarro. Pensi che non sia ancora il momento di dargli il colpo finale, di infilzarlo con la spada tra le scapole e dargli una morte fulminante, no, matare è un’arte e gli aficionados dell’arena di Huesca riconoscono il talento come il falco sfrutta le correnti ascensionali del vento. Lo sapeva bene tuo nonno, Antonio Ordonez che uccideva “recibiendo”, con il toro che era talmente vicino da diventare una scultura, fuso con il corpo del torero. Era un grande. So che ricordi parola per parola quello che scrisse di lui Hemingway in “Un’estate pericolosa”: “La prima volta che vidi Antonio Ordonez capii che era capace di eseguire tutti i passaggi classici senza trucchi, conosceva i tori, che poteva uccidere bene, se voleva, e infine era un genio con la cappa. Capii che possedeva i tre grandi requisiti del matador: coraggio, attitudine professionale e una specie di sovrana indifferenza davanti al pericolo di lasciarci la pelle”. Torero muy largo, pieno di numeri, tuo nonno, come i grandi devono essere per trascinare l’arena come un’onda, olè. La plaza de toros è il luogo del pathos dove in realtà la freddezza è l’essenza di tutto. Sii di ghiaccio anche tu, Francisco. Perché nell’arena non si bara. Hemingway lo ricorda in molte pagine di Morte nel pomeriggio: “Tutti i segni esteriori di supposto pericolo forniti da un toro, come lo scalpitare, il minacciare con le corna o il muggire, sono forme di bluff. Il toro veramente coraggioso non dà avviso prima di caricare, eccetto che fissa gli occhi sul nemico, rizza la cresta di muscoli sul collo, contrae un orecchio e mentre carica alza la coda. Un toro assolutamente coraggioso, se in condizioni perfette, non apre mai bocca, non fa mai nemmeno uscire la lingua durante l’intero combattimento, e alla fine, con la spada in corpo, tende all’uomo finché lo reggono le gambe, con la bocca serrata per non lasciare uscire il sangue”. Ecco, Francisco, tu sei “Paquirri” e hai davanti a te Freidor, il toro. Non si agita. Ti guarda fisso negli occhi. Forse è davvero un buon toro. Forse troppo. No, Freidor non è come quei tori che desiderano i toreri senza talento, uno di quelli che raccontava lo scrittore americano con la barba, “un toro che carichi perfettamente dritto e giri su se stesso alla fine di ogni carica e torni a caricare perfettamente dritto; un toro che carichi dritto come se fosse su rotaie. Spero sempre di trovarlo, ma un toro simile gli capita forse una volta su trenta o quaranta. I toreri li chiamano tori andata-e-ritorno, tori va-e-viene, o cariles, tori su rotaie, e quei toreri che non hanno mai imparato a dominare tori difficili e a correggerne i difetti, si limitano a difendersi contro la condotta normale degli animali, e aspettano uno di questi tori che caricano dritto per provarsi a compiere un lavoro brillante”. No, Freidor sembra davvero un toro imprevedibile, non correrà su una rotaia perché è un buon toro da combattimento. Pozoblanco-Huelva. Andata e ritorno. Sei là, nell’arena e come tuo padre 26 anni fa, mostri la cappa al toro, lo chiami alla carica, muovi leggermente il drappo rosa e giallo, ti sposti sulle gambe piano piano, senza mai staccare i piedi da terra. Lo sai che questo è il momento decisivo, non quello della spada. Non dimenticare proprio ora Hemingway: “Nella corrida moderna, la cappa è diventata sempre più importante e il suo uso sempre più pericoloso, e l’originario momento di verità o di realtà, l’uccisione, è diventato una faccenda che è un mero trucco. Un torero oggigiorno viene giudicato e pagato molto di più sulla base della sua abilità nel farsi passare accanto con calma e lentamente il toro per mezzo della cappa, che dalla sua abilità di spadaccino”. Finora sei stato quello che sei, un torero della grande famiglia Ordonez. Continua. Ecco, Freidor sta arrivando. Non dritto, no, arriva di sbieco, di rincorsa, poi repentino curva tutto il suo corpo verso la tua destra, non segue la cappa, gira e solleva il muso e tu, “Paquirri”, ti ritrovi con il fianco completamente scoperto di fronte alle corna di Freidor. Freddo. Totale.
[**Video_box_2**]Ora l’arena sa esattamente che cosa sta succedendo: le corna di Freidor stanno recidendo le tue arterie, non senti ancora il dolore, solo una forza che si scaglia contro di te, qualcosa che sospettavi ma non conoscevi fino in fondo e ora la senti lacerare la tua carne e forse sta toccando organi vitali e il tuo corpo così bello e vigoroso, il tuo corpo – come quello di tuo padre 26 anni fa – è un ramo d’albero trascinato dalla bufera, una furia primitiva sta bussando alla porta della morte. Freidor ti porta sopra e poi sotto. Ti calpesta, ti incorna e tu sai che quel turbine di muscoli e sangue adesso vuole finirti. Ora senti il cuore pompare a mille e il tuo cervello cerca comandi e istruzioni che non possono più arrivare. Ti ha colpito profondo. Freidor ti ha ingannato, anticipato, infilzato e vuole farti a pezzi. Che dannato pomeriggio è mai questo del 10 agosto 2015? Papà, dove sei ora? Nonno Antonio, com’è potuto mai accadere? Mille volte ho tenuto a mente i vostri insegnamenti e gli errori e ho pregato la Vergine e salutato tutti, volevo uscire dall’arena con le orecchie mozzate del toro e ora tutto questo accade anche a me? Sangue e arena. Huesca è un santuario di silenzio. E tu, Paquirri, esci sanguinante, come tuo padre ventisei anni fa. Sei grave, ma non morirai, Francisco. Ora dormi, i medici sono pronti a operarti. Ti salveranno. E poi tu lo sai che un grande torero non muore mai. E’ la tua storia e quella della tua famiglia. La corrida continua. El Fandi, lo vidi fare cose straordinarie con la cappa a Siviglia e a Malaga, è un grande torero come te, ha ucciso poco fa Freidor. E’ stato un buon toro. Sarà sempre Fiesta.
Il Foglio sportivo - in corpore sano