Clima, sarà la solita fiction
Dal prossimo 30 novembre, fino all’11 dicembre, si svolgerà a Parigi la ventunesima conferenza delle Nazioni Unite sul clima. Ultima di una lunga serie di fallimenti negoziali, si candida a essere degna erede dei precedenti appuntamenti, che negli ultimi due decenni hanno prodotto molte promesse, tante parole, pochi fatti e tantissima inutile CO2. Per una volta a dirlo non siamo solo noi pericolosi negazionisti (per citare Al Gore) del Foglio, ma il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon. Il campione indiscusso del pensiero unico mondiale – si tratti di clima, gender, religioni o qualunque altro argomento “sensibile” – ha aggiornato il manuale di conversazione sul global warming (che va dal sempreverde “dobbiamo agire ora o sarà troppo tardi” al più catastrofico “non abbiamo nessun piano B”) ammettendo qualche settimana fa che “il ritmo delle trattative è troppo lento, ci stiamo muovendo a passo di lumaca”. Il segretario generale dell’Onu, parlando a Bruxelles, ha registrato come da qui a Parigi rimangano pochi giorni di vero dibattito. Ieri a Bonn si è aperta l’ennesima ma per fortuna ultima sessione di negoziati per preparare la conferenza francese. La prima parte di questi negoziati si era conclusa a luglio con un nulla di fatto: i 193 paesi seduti attorno al tavolo si erano alzati ancora troppo distanti da un accordo che potesse essere portato a Parigi. Difficile che la seconda sessione porti illuminazioni particolari.
D’altra parte lo schema mediatico-politico in base al quale si muovono da anni questi avvenimenti è consolidato: alcuni mesi prima della conferenza i “grandi” della Terra riuniti da qualche parte per parlare d’altro fanno qualche promessa sul taglio delle emissioni; il mondo esulta, si parla di accordo “storico”, “rivoluzionario”; con il passare dei mesi non si capisce come questo accordo possa effettivamente essere messo in pratica; i duri e puri della lotta al climate change si lamentano; da qualche parte del mondo fa molto caldo / molto freddo / piove molto / piove pochissimo; inizia la conferenza onusiana, piena di allarmi ma anche speranze e buoni propositi; a metà conferenza tutto si sfascia (di solito è colpa della Cina, che pure aveva promesso di tagliare le emissioni “molto presto”); negli ultimi minuti si trova un nuovo accordo (non troppo) vincolante, che sarà il punto di partenza dei prossimi negoziati.
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