Totò Riina il giorno del suo arresto

Il cortocircuito del Fatto su Ultimo. Da fiancheggiatore di Riina a giustiziere contro Renzi

Luciano Capone
Il quotidiano di Travaglio cambia idea: il Capitano dei Carabinieri, prima vituperato e radiato per la vicenda del covo del boss mafioso, diventa ora l'arma per "scardinare il Palazzo" con le intercettazioni tra il premier e Adinolfi

Sergio De Caprio, alias Capitano Ultimo, è tra i pochi eroi viventi del nostro paese. Reso immortale dalla fiction con Raoul Bova, è l’investigatore che si è conquistato l’immensa stima e riconoscenza degli italiani per aver condotto con i suoi metodi innovativi le indagini che hanno portato, dopo la stagione delle stragi, all’arresto di Totò Riina, il Capo dei capi. Questo per la gran parte degli italiani. Per un’altra parte, minoritaria, è considerato una specie di mafioso, una pedina fondamentale della trattativa stato-mafia, il braccio operativo del generale Mario Mori (suo capo al Ros): i due sono stati processati su iniziativa di Antonio Ingroia con l’accusa di favoreggiamento nei confronti di Cosa Nostra per non aver perquisito il covo di Totò Riina (una strategia investigativa concordata con l’allora procuratore Giancarlo Caselli), accusa da cui sono stati poi assolti.

 

L’assoluzione definitiva non è servita a Ultimo (e a Mori) a evitare che il suo nome venisse accostato a uno scambio di favori con Cosa nostra e alla Trattativa stato-mafia (una teoria, quella della trattativa, che Ultimo ha definito una “pagliacciata”). Tra quelli che a più riprese hanno accusato De Caprio e il suo ruolo definito ambiguo più che eroico c’è sempre stato Marco Travaglio, che ha sempre creduto più alle parole del pentito Massimo Ciancimino che a quelle del carabiniere. Travaglio si è occupato del tema, e in particolare della mancata perquisizione del “covo” di Riina, in tantissimi articoli, libri, programmi televisivi, monologhi e spettacoli teatrali. “Oggi, con tutto quello che è emerso sulla trattativa e sui mandanti esterni alle stragi, è naturale collegare la mancata perquisizione del covo agli accordi fra i trattativisti e Provenzano. Che aiutò i carabinieri a rintracciare Riina e a eliminare l’‘ala stragista’ di Cosa nostra, ma certo non lo fece gratis”, scriveva il direttore del Fatto quotidiano. E ancora, in un altro articolo: “I due ufficiali (Mori e Ultimo, ndr) non perquisirono il covo, lasciandolo svuotare dalla mafia e ingannando la Procura”.

 

È stato quindi sorprendente pochi giorni fa, il 21 agosto, leggere sul giornale diretto da Travaglio un articolo in cui si prendono le parti del colonnello Sergio De Caprio, esautorato dei suoi compiti operativi al Noe (Nucleo operativo ecologico dei Carabinieri). Ultimo ha condotto diverse indagini delicate, tra le quali quelle in cui compaiono le intercettazioni tra il premier Matteo Renzi e il generale della Guardia di finanza Michele Adinolfi, e proprio questo secondo il Fatto sarebbe il motivo della “purga”: “Colpa del suo spirito indipendente, della sua velocità all’iniziativa individuale – scrive il Fatto - di quella permanente difesa dei suoi uomini e dei suoi metodi di indagine da entrare in collisione con i doveri dell’obbedienza e della disciplina. Già in altre occasioni hanno provato a trasformarlo in un ingranaggio che gira a vuoto”. Ma come, non erano la sua indipendenza e i suoi metodi un punto cruciale della “Trattativa”? “Fin dai tempi remoti dell’arresto di Totò Riina – gennaio 1993 – che gli valse non una medaglia, ma la condanna a morte di Cosa nostra, poi un ordine di servizio che lo estrometteva dai Reparti operativi, poi un processo per 'la mancata perquisizione del covo' da cui uscì assolto insieme con il suo comandante di allora, il generale Mario Mori”, scrive Pino Corrias, cancellando in 4 righe anni di teorie sulla Trattativa del suo direttore.

 

Per Travaglio, Ultimo, insieme al suo amico e capo Mori, ha proprio le caratteristiche del delinquente, del fiancheggiatore della mafia, è uno degli uomini chiave degli indicibili accordi tra politica, mafia, terzi livelli e servizi (deviati, ovviamente): "È chiaro che il Ros ha mentito e ha ingannato la Procura. Ora, delle due l’una: o Mori e Ultimo sono due dilettanti allo sbaraglio; oppure hanno agito di proposito per favorire la mafia, o se stessi, o altri uomini dello Stato", scriveva Travaglio. Insomma, Ultimo avrebbe servito Bernardo Provenzano più che lo Stato, si tratta di un traditore, un delinquente che meriterebbe l’ergastolo, altro che la rimozione della “guida operativa” del Noe!

 

Ma il Fatto non si è occupato del colonnello De Caprio solo in quell’articolo, lunedì gli ha fatto una lunga intervista. Quale migliore occasione per mettere alle strette questo personaggio da sempre visto dal direttore come un criminale? Ecco invece come viene descritto: “È il carabiniere che ha arrestato Riina, inquisito Orsi e Bisignani, aperto il fascicolo sulle Coop e intercettato Renzi col generale Adinolfi. Senza troppa reverenza nei confronti del Palazzo. E l’hanno punito”. E ancora: “È stato il protagonista di una lunga serie di indagini. Quelle scomode, soprattutto, portano la sua firma: lui è il colonnello dei carabinieri Sergio De Caprio, conosciuto da tutti come il Capitano Ultimo”. E questo è solo l’inizio, ora arrivano le bordate: “Un uomo costretto a non mostrare mai il suo volto, Ultimo ama più la strada che i palazzi del potere. Semplice, pratico ed irrequieto. Pensa ai risultati, non alla burocrazia: per lui il fine è solo l’utile, i mezzi tutti quelli possibili”. Ma come? E la Trattativa? Provenzano, Mori, il favoreggiamento? E il covo? Ah sì, del covo se ne parla: “Il Colonnello Sergio De Caprio ha iniziato questa intervista in quello che ormai è ritenuto il suo “covo”: la casa famiglia Capitano Ultimo "creata per l’esigenza di aiutare chi è in difficoltà". Ma non aiutava la mafia? Non è che nel suo covo ospita il latitante Messina Denaro?

 

Ma è solo l’inizio, ecco che arrivano le domande scomode, quelle che nessuno gli ha mai fatto: “Quale sensazione ha provato quando ha arrestato Totò Riina, per lei era la fine o l’inizio di qualcosa?”, “Quali attività vengono svolte nella Casa Famiglia Ultimo?”, “All’interno della struttura c’è l’allevamento dei falchi da lei personalmente curato. Perché proprio i falchi?”, “Quanto le è costato trascurare la sua vita privata per il lavoro. È riuscito a conciliare tutto?”. Il paginone dedicato a Ultimo è finito, non c’è spazio per le domande sul covo, sull’accordo con Provenzano per arrestare Riina, sul papello, la trattativa, Ciancimino. Niente.

 

[**Video_box_2**]Quello che veniva trattato da mafioso quando arrestava Totò Riina diventa un eroe per aver intercettato Renzi, da fiancheggiatore della mafia a uomo “semplice, pratico ed irrequieto” che “ama più la strada che i palazzi del potere”. In realtà Ultimo è sempre lo stesso, è al Fatto che hanno una lingua per i magistrati di Palermo e una per De Caprio. Nella prossima edizione del suo libro “Slurp”, quello sulla leccaculagine dei giornalisti italiani, il direttore del Fatto potrebbe aggiungere un capitolo su una nuova pratica estrema che pare conoscere bene, il bilinguismo.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali