Il caso Scattone è la fine dello stato di diritto
Al direttore - La rinuncia di Scattone all’incarico legittimamente ottenuto conferma che nel circo mediatico-giudiziario italiano esistono una pena ufficiale e una ufficiosa. Stavolta non c’entrano i giudici, c’entriamo noi. Penne e lingue che solleticano gli istinti delle fiere. Unica eccezione rimarchevole il ministro Stefania Giannini che a Panorama dichiara: “Manderei mia figlia a scuola da Scattone”. Sono passati vent’anni dal fatto, una sentenza definitiva per omicidio colposo (lo stesso reato ascritto a Grillo, per intenderci) è stata eseguita nella sua interezza. A norma di legge non prevedeva l’interdizione. Eppure al condannato si nega il diritto di riannodare i fili della propria, sfilacciata, esistenza. Marta Russo non risorge. Giovanni Scattone muore di nuovo.
Annalisa Chirico
Ha ragione Roberto Giachetti: se neanche l’espiazione della pena riabilita una persona qui non siamo di fronte solo a un linciaggio, siamo di fronte alla fine dello stato di diritto.
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