Cerimonia di consegna della Laurea alla Yale University (foto LaPresse)

Islamizzare Yale

Giulio Meotti
La Casa reale saudita si compra una cattedra di sharia nell’ateneo più prestigioso d’America, lo stesso che aveva eliminato il suo centro sull’antisemitismo sotto pressioni arabe.

Roma. Se fosse vivo, William F. Buckley, capostipite dei conservatori americani, forse deciderebbe di cambiare il titolo al suo capolavoro in “Allah and Man at Yale”. “God and Man at Yale” era, infatti, il libro del 1951 in cui Buckley demoliva il relativismo imperante nell’ateneo che sorge dal 1701 a New Haven, in Connecticut, e che si contende il titolo di più importante università d’America assieme a Harvard. E’ notizia, appresa direttamente dal portale di Yale, che il regno dell’Arabia Saudita ha donato dieci milioni di dollari all’università americana per crearvi un Centro per gli studi della sharia, la legge islamica. Veicolo del fondo il Dallah al Baraka Group, che finanzia così l’Abdullah S. Kamel Center for the Study of Islamic Law and Civilization. “La straordinaria generosità di Kamel aprirà nuove interessanti opportunità per la Yale Law School e per tutto l’ateneo”, ha detto entusiasta il preside di Yale Peter Salovey. Come riporta il quotidiano Christian Science Monitor, il Dallah al Baraka Group di Kamel è stato sotto inchiesta da parte dell’Amministrazione americana per finanziamenti al terrorismo di al Qaida. Duro il commento dell’Huffington Post: “L’uomo che ha dato a Yale dieci milioni di dollari proviene dal paese più totalitario sulla terra, secondo forse solo alla Corea del nord. Le donne vivono sotto uno stato di apartheid. L’ideologia wahabita criminalizza il dissenso prima che possa anche germinare nelle coscienze. La legge non è suprema; la Casa di Saud lo è. Lo scopo della legge non è quello di servire e proteggere, ma preservare la famiglia e distruggere le menti e i corpi dei suoi nemici”. Mentre usciva la notizia del fondo a Yale, da Riad ne arrivava anche un’altra: l’ennesimo dissidente saudita si avvia alla decapitazione in pubblico. 

 

Le parole del preside di Yale hanno scarso peso specifico. Nei fatti, un regime odioso e oscurantista sta ipotecando anche la libertà accademica americana. I wahabiti, i custodi dell’islam in Arabia Saudita, hanno già finanziato cattedre di islamistica a Harvard, Georgetown, Columbia, Rice University, Arkansas e Berkeley, ovvero nei maggiori centri accademici americani. Stephen Schwartz, direttore del Centro per il pluralismo islamico, ha presentato un’indagine a cura del Middle East Forum su questi finanziamenti sauditi. Cento miliardi di dollari per diffondere in tutto il mondo le virtù del wahabismo è quanto sborsato finora da Riad. E’ più del doppio di quanto spese l’Unione sovietica durante la Guerra fredda per le operazioni di propaganda. Tutto legale, ovviamente. Ai sensi del titolo sesto dell’Higher Education Act del 1965, un programma del ministero dell’Istruzione di Washington che garantisce fondi alle università che “istituiscono centri di studio internazionale”. Legale, ma non lecito. L’accademica e femminista Phyllis Chessler ha scritto sul New York Post: “La palestinizzazione e la stalinizzazione dell’accademia americana, assieme alla prospettiva di un finanziamento dal mondo arabo, hanno reso questo risultato inevitabile a Yale”. Enfatico ma pregnante.

 

Yale aveva il primo Centro studi dell’antisemitismo. Tre anni fa chiuse per ordine dell’università, complice la pressione dei palestinesi negli Stati Uniti e le laute donazioni dei paesi arabi. Alex Joffe in un articolo dal titolo “Antisemitism and Man at Yale” (che riprende il celebre saggio di Buckley) ha scritto che “Yale ha cercato il sostegno di ricchi benefattori del mondo arabo. In particolare ha corteggiato il principe saudita Alwaleed bin Talal”. Yale era già finita nelle polemiche per la decisione dell’edizione universitaria di autocensurarsi sulla questione delle vignette danesi. E anche allora si parlò apertamente di interferenze arabe. La casa editrice del famoso ateneo americano aveva pubblicato un libro sulle “Vignette che hanno scosso il mondo”, ma senza le vignette che nel 2006 provocarono sommosse con oltre duecento morti in medio oriente e in Asia. Per paura di “offendere l’islam”.

 

[**Video_box_2**]Gli studenti del Jackson Center for Global Affairs di Yale sono stati portati dai loro docenti a incontrare l’allora presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad quando era in visita a New York all’Onu (in quell’occasione il leader iraniano negò nuovamente la Shoah). Secondo molti osservatori, la pressione a chiudere l’istituto sull’antisemitismo è arrivata dai donatori della Lega araba. Poco prima era stata registrata l’ultima donazione islamica a Yale da parte del Bahrein, per una entità di mezzo milione di dollari. Ci sono diciassette centri di studi mediorientali negli Stati Uniti e quasi tutti ospitano studiosi antioccidentali. E come è noto, questi “centri per la diversità culturale attraverso il dialogo” sono da anni bastioni dell’islam più fondamentalista. Il centro di Georgetown per il dialogo islamico-cristiano ad esempio ha ospitato oratori legati a Hamas e al Qaida.

 

Una celebre inchiesta del settimanale Weekly Standard si è chiesta senza tanti giri di parole: “Yale è stata messa in vendita?”. Adesso si scopre che il prezzo per una cattedra antitetica a ogni valore rappresentato e inculcato da Yale costa esattamente dieci milioni di dollari.

 

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.