La truffa è il motore pulito
A voler cercare dei presagi, il salone dell’auto di Francoforte quest’anno si era aperto con segnali inquietanti. Ecco l’amministratore delegato di Bmw, Harald Krueger, colto da coccolone, svenuto sul palco. Poi la stizzita risposta dei tedeschi allo spauracchio globale dell’auto, quello di Google e Apple pronte a intervenire nel settore. “Non diventeremo un iPhone a quattro ruote”, aveva detto il numero uno di Volkswagen Martin Winterkorn. Poco prima del Diesel-Gate che l’avrebbe travolto.
C’è una puntata nella seconda stagione del cartone americano Simpson (“Oh, fratello, dove sei”) in cui Homer scopre di avere un fratello che è un potentissimo magnate dell’industria automobilistica, e dunque inopinatamente progetta un modello di auto destinata al consumatore medio del mercato americano (naturalmente l’auto è un fallimento e la casa automobilistica va venduta a un giapponese). Come il cartone inventato da Matt Groening, anche il Diesel-Gate ha implicazioni abbastanza sociologiche: non riguarda solo il mercato dell’auto ma è uno spaccato un po’ sociologico del mondo globale 2015, tra cialtroneria internettiana, profezie che si autoavverano, informazione irrazionale. “Domenica 27 settembre il Corriere della Sera in prima pagina scriveva di 40.000 auto bloccate sui piazzali Volkswagen in Italia”, dice al Foglio il direttore di Quattroruote, Gian Luca Pellegrini. “E’ una cifra assurda, non ci sono tante auto in tutti i concessionari d’Italia messi insieme”. Ma è solo una delle tante informazioni sconclusionate che circolano in questi giorni. Per esempio, “il coinvolgimento di Bmw: è bastata una voce nei giorni scorsi che anche la casa di Monaco avesse gli stessi problemi, e il titolo ha perso l’8 per cento in Borsa. Poi naturalmente non era vero niente. C’è una disinformazione totale, tanto che ormai la gente pensa: ‘oddio, se mi fermano con la mia Golf, me la sequestreranno’“.
Ma ad essere surreali sono soprattutto le famose emissioni da cui origina il caso. Volkswagen avrebbe infatti installato una centralina che modifica non il tremendo Co2, ma il “banale” NOx, l’ossido di azoto, che è quel gas che si sprigiona quando si mette sul fuoco una pentola. “Tecnicamente non è un inquinante, è classificato come un irritante”, dice sempre Pellegrini. “Volkswagen si ritroverebbe dunque a pagare la più alta sanzione nella storia dell’automobile senza aver causato neanche un incidente” ma per un’arietta oltre i limiti. “E’ chiaro: hanno mentito e devono pagare caro”, dice il direttore di Quattroruote, “ma nella storia ci sono state cause di cui non avete mai sentito parlare, che hanno fatto morti e feriti: nel 2000-2001 venne fuori che i difetti delle gomme di alcune auto Ford causarono almeno duecento morti: la vicenda ha portato risarcimenti per soli 3 miliardi di dollari; Toyota nel 2012 pagò 1,2 miliardi di dollari per richiamare alcune sue auto che avevano un difetto al pedale dell’acceleratore (due morti); mentre almeno 56 morti sarebbero stati causati da un problema all’iniezione di alcuni modelli General Motors, con risarcimenti da soli 900 milioni di dollari”. Invece – pare – il più grande risarcimento della storia dell’automobile sarà ricordato per un caso in cui non si è fatto – né si farà – male nessuno.
L’altra surrealtà riguarda poi il senso degli Stati Uniti per il Diesel. In un paese popolato da suv-umani a otto cilindri benzina, il gasolio è una specie di fobia. “Qui la maggior parte delle auto sono pick-up, consumano un botto, ma sono considerati come camion, dunque non devono neanche sottostare alle normative per le auto. Non devono superare i crash test, le prove di urto coi pedoni, non rispondono alle norme sulla sicurezza”. I suv-umani “odiano il diesel perché hanno i ricordi di Los Angeles con la cappa di inquinamento dei vecchi motori a gasolio puzzolenti prima dei catalizzatori. E non è un caso che la California è lo stato al mondo che ha le restrizioni più alte”. E che proprio da lì è nato il caso Vw”.
Il caso poi fa il resto: c’è un tedesco ossessionato dai gas di scarico che si chiama Peter Mock, è il capo di una Ong che si chiama International Council on Clean Transportation, si batte per rendere più ecologici i mezzi di trasporto (sembra davvero un personaggio di Freedom, il penultimo romanzo di Franzen). l’Icct, con sedi a Washington, Pechino e Bruxelles, campa con finanziamenti privati, tra cui alcuni eredi della Hp (computer, stampanti) e della Climateworks, una ong nel cui board siede anche John Podesta, boss della campagna di Hillary Clinton.
Mock, appassionato del tema, ha condotto uno studio in cui si sottolinea “il gap tra i consumi reali e in test di laboratorio sulle auto in Europa”. Ex dipendente della divisione ambiente della Mercedes, ha scoperto nel 2013 che alcuni veicoli Vw producevano gas di scarico molto più alti che nei test. Segnala dunque il problema all’Agenzia per l’ambiente della California (Epa, Environmental Protection Agency) che apre un’indagine e nel frattempo notifica alla Volkswagen il problema.
Siamo a maggio 2014. “La Volkswagen in un anno ha aspettato, ha scritto solo una lettera ai propri clienti in California dicendo: la prossima volta che passate in officina fate dare un’occhiata al motore”, dice sempre Pellegrini. E qui entriamo nella lettura psicanalitica del Diesel-Gate. “Io mi sono stupito di questo comportamento. Ma il problema dei tedeschi è che nell’emergenza si paralizzano”. Così, la settimana scorsa, il dramma. Prima l’amministratore delegato della Volkswagen (poi dimissionario), Martin Winterkorn, esce con un video in cui ammette tutto: sì, è vero, siamo colpevoli, abbiamo tradito la fiducia dei clienti (messaggio non richiesto, le accuse erano generiche). “Poi per 48 ore poi non hanno detto più nulla. Martedì quando il titolo ha perso oltre il 30 per cento c’è stato un ulteriore messaggio, “sì è vero, abbiamo sbagliato”, e il titolo ha perso un altro 8 per cento. “Poi ancora un altro messaggio” dice Pellegrini. Poi di nuovo silenzio, poi giovedì Winterkorn ha dato le dimissioni”.
Siamo in un’altra puntata dei Simpson, “La paura fa Novanta, V”: l’amico tedesco di Bart, Uter, viene macinato e trasformato in wurstel mentre la scuola di Springfield viene trasformata in una sorta di Oktoberfest bavarese. Pare un po’ il destino della casa tedesca (tra l’altro nella realtà a Wolfsburg, cittadella Volkswagen in Bassa Sassonia, è in azione fin dai tempi hitleriani una pregiata fabbrica di wurstel, che non serve solo la mensa aziendale ma vende anche all’esterno).
“Il problema, enorme, lo sanno tutti, è quello dei test”, continua il direttore di Quattroruote. “I test sono fuorvianti, le legislazioni ambigue. Da sempre le case automobilistiche dichiarano valori che non sono mai reali, sono i cosiddetti valori di omologazione. Per farli, le macchine vengono sigillate, l’aria condizionata spenta, vengono montate ruote più strette, eccetera. Infatti Quattroruote, da sempre, pubblica il dato omologato e poi quello che testiamo su strada nel nostro centro prove”.
Però qui è diverso. Stavolta Volkswagen ha barato.”Non c’è dubbio, è una truffa, e però non si capisce perché l’abbiano fatta. Gli Stati Uniti per Volkswagen sono marginali rispetto ad altri paesi come l’Europa o la Cina. Il mercato del diesel negli Stati Uniti oltretutto vale sì e no il 2 per cento dell’intero settore. Non li compra nessuno i diesel in America”. Perché l’hanno fatto, allora? “Me lo chiedo anch’io. Perché un gruppo globale con una reputazione consolidata rischia di soccombere per dei guadagni totalmente irrisori?”.
[**Video_box_2**]La tentazione della götterdämmerung, la caduta degli dei, e di altre metafore wagneriane di ambiente boscaiolo è facile. Leadership riluttante? Classico connubio psicanalitico di grandiosità e tentazioni masochistiche, in risposta anche ad aspettative mortifere? “Io non ho mai visto tanto astio e tanta pubblicità per un caso del genere”, sempre Pellegrini. “Mi colpisce l’eco mediatica sproporzionata all’effettivo danno ambientale, cresciuta fino alla psicosi. Se non fossero stati tedeschi sarebbe stato diverso”.
La caduta degli dei a gasolio corrisponde infatti a tanta soddisfazione all’esterno; c’è molto entusiasmo infatti in questi giorni da parte di un Sud Europa smandrappato, tanti Pigs che finalmente possono esultare. Anche perché Volkswagen ovvero, per la proprietà transitiva, la Germania, viene punita (finalmente) anche dalla Bce. Un sogno, per i reietti dell’Eurozona.
“Le obbligazioni della Vw erano considerate talmente sicure da essere inserite nel paniere che la Banca centrale compra sul mercato, nel piano da 60 miliardi di euro annunciato da Draghi l’anno scorso per sostenere l’economia” dice Pellegrini. “Come risultato del Diesel-Gate, Draghi per prima cosa ha escluso i bond della casa automobilistica, con la conseguenza che d’ora in poi Vw per trovare creditori dovrà pagare tassi più alti; questi tassi verranno trasferiti sui clienti; finiranno i tassi zero che i clienti Vw potevano avere sulle rate”. Contro questi tassi, produttori meno virtuosi protestavano molto. Ora però tutti tirano un sospiro. “La debolezza della Germania che non innova più”, titolava un quotidiano italiano nei giorni scorsi. E un’esimia economista: “il Diesel-Gate è frutto del neoliberismo!”. Il buco dell’azoto è vivo e lotta insieme a noi.
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