Il premier Matteo Renzi (foto LaPresse)

La marcia trionfale del pischello e il Papa cattivissimo

Lanfranco Pace

L’urgenza di mettere mano alla carta costituzionale, il colpo del coniglio di Francesco a Ignazio, I remember Ingrao e giù le mani da quelli de sinistra. Il pagellone fogliante alla settimana politica (e non) di Lanfranco Pace

SENATO, C'EST FINI (DEJA?)

 

E' partita la marcia trionfale del premier, del governo e di un partito democratico che ha rimesso insieme i cocci, verso la riforma del Senato: se tutto procederà secondo previsione, il ddl Boschi sarà legge. Gli elettori poi con il referendum giudicheranno, potranno dire se Matteo Renzi è il primo grande riformatore della storia repubblicana o farla a pezzi come già fecero con la riforma di Berlusconi e del centrodestra. 

 

Dicono che dei ragazzi vagamente cazzari non possono riformare la legge fondamentale.

 

E' vero che i padri costituenti avevano tutt'altra statura, per così dire si presentavano meglio, avevano la gravità di chi aveva conosciuto e vissuto la tragedia, avevano fatto per lo più buoni studi e portavano spesse lenti da professori. Questi invece sono pischelli che galleggiano nella leggerezza, nell'assenza di memoria, navigano nel nulla della rete. Solo che non è mai bastato studiare ed essere solenni. I Moro, i De Gasperi, i Dossetti, i Togliatti, i Nenni avevano certamente currricula più impressionanti di  Washington, Jefferson, Franklin, Madison, Hamilton e degli altri padri fondatori americani, che magari erano pure ricchi ma per lo più coloni, commercianti, mediatori di bestiame, di terreni agricoli, di immobili. Eppure la Costituzione americana svetta ancora dopo secoli, quella italiana fu un compromesso al ribasso, così mediocre che fin dalla nascita sembrò suscettibile di revisione e bisognoso di una buona mano di antiruggine.

 

Il Lotti, la Boschi e lo Zanda sono riusciti nell'impresa. Hanno lavorato di clava e di cesello (a tutta la squadra voto 9), il deputato dem Cociancich ha tirato fuori un canguro d'allevamento che è le sette bellezze, spazzando via quasi tutte le richieste di voto segreto sugli articoli 1  e 2 . Gli oppositori si sono scatenati, hanno detto che non sarebbe farina del suo sacco ma di Paolo Aquilanti, ex capo dell'ufficio legislativo del ministro Madia e ora influente segretario generale di palazzo Chigi: embè, non si vede proprio dove sia lo scandalo, i funzionari questo fanno quando sono bravi. E non va dimenticata Sant'Anna dei Miracoli: se alla fine la riforma andrà in porto, lo si dovrà all'impegno, all'abilità manovriera e alla competenza della presidente della commisssione Affari costituzionali, Anna Finocchiaro (voto 10).

 

Forse non è una bella riforma, magari è un mezzo pasticcio ma il semplice fatto di essersi mossi, di aver intrapreso il viaggio, è più importante della destinazione d'arrivo: da decenni si stava fermi al palo. L'obiezione che in generale sia meglio non fare riforme piuttosto che farne di cattive è semplicemente cretina: avere messo un termine alla doppia lettura, alle navette estenuanti da una camera all'altra, vale da solo un giudizio positivo sulla riforma. Gli argomenti delle opposizioni sono sempre apparsi speciosi per non dire ridicoli. Rischio di regime, mancanza di contrappesi, come se in questo paese di marmellata ci fosse un eccesso di pesi. Poi la manfrina sui nominati, laddove una camera alta siffatta era già contemplata nello Statuto albertino. Infine la paura dell'uomo solo al comando, lo stesso vecchio riflesso che spinse i padri costituenti a soppesare i poteri con il bilancino consegnandoci istituzioni che hanno retto decentemente solo fino alla metà degli anni Sessanta, fino a quando cioè c'è stato un grande partito unico.

 

In questi primi giorni di dibattito, sarebbe stato impossibile resistere alla noia se non ci fossero stati Verdini e verdiniani. Ieri per esempio è scoppiato un finimondo perché il senatore Lucio Barani, del gruppo Ala per l'appunto, avrebbe mimato il gesto del “sesso orale”, così è stato definito in Aula, alla senatrice 5stelle Barbara Lezzi. La quale si è incazzata assai, con lei la pasionaria del movimento Paola Taverna e le donne di tutti gli altri gruppi: hanno chiesto riparazione e punizione esemplare. L'arbitro Pietro Grasso ha rinviato alla prossima settimana con produzione ed esame della prova video. La Lezzi è senatrice preparata, forse la migliore del raccolto grillino (voto 8) ma non si può dire che abbia sense of humour. Avrebbe potuto ribattere al maschio villanzone come Julia Roberts: quando gli azzimati avvocati del grande studio di città chiedono a Erin Brockovich come abbia fatto a ottenere le firme di tutte le parti lese, dice di aver fatto centinaia di pompini e nello sguardo le si legge un'aria di trionfo. Barani, ex socialista che meriterebbe un voto alto solo per aver voluto erigere nella sua Aulle una statua a Bettino Craxi e alle vittime di tangentopoli, scivola su una buccia di banana: non importa se sia davvero colpevole, il danno è fatto e si becca un 4. Al presidente Grasso, prima divertito, poi superato dagli eventi, infine stanco, voto 6.

 

E' quando succedono cose così che viene da dire che De Gaulle aveva ragione, il senato è fastidioso e inutile come la prostata.

 

BAD POPE

 

Ignazio Marino è quello che è, un pasticcione vanaglorioso e un sindaco inadeguato, ma il colpo del coniglio, fra capo e collo, che gli ha assestato Papa Francesco non ha precedenti. De minima non curat eccetera eccetera. Figurarsi quando non è il pretore ma il capo della Cristianità. Che presta orecchio alla bassa domanda di un giornalista fouteur de merde, risponde e sillaba la risposta, la sottolinea con enfasi, e perché non ci siano ulteriori dubbi fa pure la spia, dice di aver chiesto lumi agli organizzatori del viaggio ma anche loro nulla sapevano della presenza dell'edile di Roma a Filadelfia. Delle due l'una. O Marino ha combinato pasticci di cui non siamo a conoscenza, cosa però improbabile perché sembra in grado di nuocere solo a se stesso. O il papa si è accodato al pensiero dominante nei suoi confronti, con cattiveria per non dire crudeltà. Che ne sarà della misericordia cristiana se è lui il primo a sparare sull'ambulanza? I suoi predecessori mai lo avrebbero fatto, e poi così di fronte a tutti, al più avrebbero fatto filtrare la notizia per vie traverse. Il fatto rafforza l'impressione che fin dall'inizio mi ha fatto questo Papa venuto a rivoltare  il suo ruolo come un calzino e a ricercare il contatto anche fisico, brusco con la materia e la realtà del nostro tempo. Piace immensamente, forse, proprio per questo ma nessuno mi toglie dalla testa che un giorno possa anche telefonarmi e cazziarmi per i numerosi peccati. A me che ho sempre considerato il Papa come figura alta, lontana e simbolo irraggiungibile del sacro: il primo che vidi attraversava la folla e benediceva da una sedia gestatoria portata a spalla. Non posso perciò dare un voto al Papa.  Ma ad Alessandra Sardoni, amica vigile che con la schiena dolcemente dritta rifiuta il conformismo, sì: in una lettera al Foglio proprio qualche giorno fa ha detto prima di me e meglio di me le stesse cose: voto 10, con lode e abbraccio accademico per non essere come i tanti maramaldi lapidatori di feriti. Non ho parole invece per Matteo Orfini che ha detto che il Papa è infallibile. Va bene l'ambizione, ma ogni tanto tenersi sulla verticale non fa male e non è mal visto nemmeno da oltretevere.

 

[**Video_box_2**]INGRAO

 

Una tribunetta per autorità distratte, cimeli di modernariato, manipoli di nostalgici, sventolii di bandiere rosse, Bella ciao e l'Internazionale, i vessilli dell'Anpi e il pugno chiuso di Citto Maselli e signora. Prima ancora il coro dei professionisti del turibolo, quelli che se ne va il padre della sinistra, una parte di storia patria e bla bla, a funerea conferma che in Italia non si è mai così apprezzati come da morti.

Lui cominciò con Togliatti e finì con Vendola, quindi non gli andò bene. Ma era molto amato. Aveva rinunciato al presente e a governare il tempo, si era dunque dimesso dalla politica attiva per vivere di utopia e testimonianza. In occasione della morte, Rai1 ha mandato in onda una puntata di Sottovoce vecchia di sette anni: Ingrao ha 93 anni, è in perfetta forma e ha ancora un bel volto. Alla domanda rituale di Marzullo ( voto 9) sui suoi sogni ricorrenti, rimane sorpreso, quasi sconcertato e prima ancora che riesca a spiegarsi si capisce che non ne ha, che vorrebbe averli, crede di averli ma al risveglio gli scivolano via come sabbia tra le dita. Parla sempre con garbo e con una totale assenza di iattanza. Per questa ragione tanti hanno voluto sbagliare con lui piuttosto che avere ragione con Amendola.

 

E PER FINIRE

Lasciate in pace Nichi Vendola (voto 9) avrà pure il diritto di fare quello che gli pare, con il suo compagno e la sua pensione. Beppe Grillo, nessuno fa i conti nelle tue tasche, fatti dunque i “razzi tuoi” hashtag #telodicodaamico. Lasciate in pace anche Rai3 e il Tg3 e chi li dirige: stanno bene dove stanno. Semmai il problema è Rai 1, esempio insuperato di cosa si intenda in questo paese per servizio pubblico e ho detto tutto.

  • Lanfranco Pace
  • Giornalista da tempo e per caso, crede che gli animali abbiano un'anima. Per proteggere i suoi, potrebbe anche chiedere un'ordinanza restrittiva contro Camillo Langone.