La formula della terra
La formula del mondo – dicono i demografi – è: 1-1-1-4. Per grandi numeri, abbiamo un miliardo di persone nelle Americhe, uno in Europa, uno in Africa e 4 in Asia. Sette miliardi e passa. Quando io sono nato, nel 1966, c’erano poco più di tre miliardi di persone. Dunque, nell’arco di 50 anni la popolazione si è raddoppiata. Se organizziamo il mondo in una scala dobbiamo per forza considerare le buone e le cattive notizie. La buona: 3 miliardi di persone sono uscite dalla fame – in fondo è una storia bellissima che però nessuno vuole raccontare. La brutta è che i poveri sono ancora due miliardi e quasi 800 milioni di persone soffrono la fame.
Ma che significa fame? Solo nel 1881 eravamo il paese di Pinocchio, e sì, le calorie c’erano ma la diseguaglianza economica faceva sì che fossero mal distribuite e quindi un italiano su tre pativa la fame, ora siamo il paese di “Masterchef”, insomma il cibo c’è, e ne abusiamo. E poi, siccome non abbiamo più (fortunatamente) idea di cosa significa patire la fame, ci permettiamo di idealizzare l’agricoltura del passato, senza considerare che l’aspettativa di vita all’Unità di Italia era molto bassa, intorno ai 35 anni, cioè bassa sicurezza alimentare, poche fognature, infezioni ecc. Forse proprio per questo vale la pena leggere “La fame” di Martin Caparrós (Einaudi) – simpaticissimo quanto rigoroso scrittore. Per capire cosa significa vivere in un mondo dove la terra non rende e non rende perché senza il nostro apporto, la nostra capacità di innovare, la terra non dà buoni frutti, al massimo sazia qualche animale. Un reportage molto particolare (Niger, India, Bangladesh) che quelli di noi che nutrono simpatie reazionarie e parlano di agricoltura di sussistenza, ecco, quelli di noi che sono così dovrebbero leggerlo. Per capire meglio la distanza che passa tra le nostre nobili e belle dichiarazioni di intenti e la realtà. Insomma, che si fa quando si legge una passo così: “Sono terre secche, solo il 4 per cento della superficie africana ha un qualche tipo di irrigazione. Nel nord del Brasile, l’Organizzazione meteorologica mondiale ha confrontato la produttività di due ettari di terreno contigui piantati a fagioli, uno irrigato e l’altro no: quello che dipendeva dall’acqua piovana ha prodotto 50 chili di fagioli, l’altro 1.500. Sono terre sprovviste: in tutto il mondo ci sono 30 milioni di trattori, e i 700 milioni di contadini africani ne hanno a disposizione meno di 100 mila, la stragrande maggioranza di loro non ha altri strumenti al di fuori delle mani, le gambe e una zappa. Di quei 700 milioni di contadini, 500 non hanno semi selezionati né concimi minerali. E la grande maggioranza di loro non può vendere ciò che raccoglie al di là della propria zona: non ci sono strade sufficienti”. Il mondo ricco parla di chilometro zero, nel mondo povero il chilometro zero è una iattura. Qui si fanno convegni di biodinamica, e il ministro Martina propone di creare corsi universitari specifici non solo sull’agricoltura biologica ma anche su quella biodinamica, e lì in quella parte del mondo dove l’agricoltura è davvero bio e spesso ci si affida al fato, ecco lì la gente non mangia. Caparrós ce la mette tutta per farci capire quanto siamo sciocchi e viziati, noi qui da questa parte, e quanto sia brutta, orribile la miseria e dunque che significa vivere tutti i giorni sperando di mangiare l’indomani: non puoi far niente altro, solo provare vergogna, la vergogna di pensare al cibo tutti i minuti della tua vita.
[**Video_box_2**]Ce la mette tutta per farci capire le strutture della fame, le dinamiche e chi vi specula, dai potenti a madre Teresa, e a proposito di quest’ultima è giusto finire con un duro passo di Caparrós: “Madre Teresa aveva un paio di idee forti. Tra queste l’idea che la sofferenza dei poveri fosse un dono di Dio: è bellissimo vedere i poveri che accettano la loro sorte, che la subiscono come la passione di Gesù Cristo – disse più volte. La loro sofferenza è di grande aiuto per il mondo”. Ecco, quelli di noi a cui è rimasta un po’ di passione progressista dovrebbero pensarla diversamente.
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