Domani a Milano
A Expo arriva il cantante palestinese che incita a uccidere gli israeliani
Roma. Mohammed Assaf è l’“ambasciatore di buona volontà” dell’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi. Oltre a essere noto come “il Tom Cruise del medio oriente”, Assaf è una star della musica nel mondo arabo, vincitore due anni fa del concorso “Arab Idol”, il popolare talent show del mondo arabo. Pochi giorni fa, Assaf ha diffuso la canzone “Ya Yumma”, in cui incita i palestinesi a continuare nella guerra a Israele e a “liberare al Aqsa”. Nel videoclip, in cui Assaf canta i “soldati” di Palestina, coloro che “combattono gli occupanti”, si susseguono immagini di scontri fra palestinesi e soldati israeliani a colpi di molotov. Assaf canta la “perseveranza a Gerusalemme e Afula”, teatro di numerosi attentati. Nella sua pagina Facebook, Assaf ha anche postato le foto dei “martiri”, i terroristi palestinesi uccisi dopo gli attentati contro lo stato ebraico. Domenica sera Assaf sarà protagonista all’Expo di Milano, ospite del Padiglione Palestina, per una raccolta fondi a nome dell’agenzia dell’Onu. Vogliamo sperare che Expo non fosse a conoscenza dell’incitamento all’odio di Assaf quando lo ha invitato.
Il caso Assaf è solo uno dei tanti rivelati dalla ong Un Watch, che da oltre dieci anni monitora le attività delle Nazioni Unite e che sta distruggendo la reputazione dell’Unrwa, una delle più ricche e influenti organizzazioni umanitarie del Palazzo di Vetro. Da settimane, i suoi dipendenti incitano infatti agli attacchi terroristici contro i civili israeliani. Jaffar Ismail è fiero di mostrare nella sua pagina Facebook il “certificate completion”, il diploma di insegnante per l’Onu rilasciato il 4 marzo 2013. Poi però come sfondo della stessa pagina sul social media, Ismail ha messo il terrorista palestinese che, armato di coltello e con la scritta “press”, insegue un soldato israeliano a Hebron per accoltellarlo.
Le scuole Onu in Libano domenica scorsa hanno organizzato una manifestazione congiunta a sostegno dell’“Intifada per Gerusalemme”. Kamal Zuhairi è un insegnante dell’Onu in Giordania e su Facebook si vanta di come insegna ai suoi figli a combattere i soldati israeliani. Come Nidal Abu Ghneim, anche lui insegnante per conto dell’Onu, il cui logo su Facebook è una mappa della Palestina con un mitra Ak47: “Quello che è stato preso con la forza sarà ripreso con la forza”, recita la didascalia. Se l’assistente ai progetti dell’agenzia Onu, Hani al Ramahi, invita a “pugnalare i cani sionisti”, il dipendente Onu a Hebron, Ibrahim Ali, ha diffuso un video in cui si incita a sparare alle auto degli israeliani. E invece di denunciare inequivocabilmente la carneficina in corso a colpi di accoltellamenti, sparatorie, attentati e investimenti con l’auto scatenata dai palestinesi contro i vicini ebrei, la Unrwa ha denunciato Israele per “l’uso eccessivo della forza”, ovvero per cercare di proteggere i suoi cittadini. Anche senza il caso Unrwa, sarebbe dovuto bastare il podio che il Consiglio dei diritti umani il 28 ottobre concederà ad Abu Mazen, presidente dell’Autorità Palestinese. Per la prima volta da quando è stato nominato, Abu Mazen interverrà alla commissione del Palazzo di Vetro di Ginevra. La stessa “Terza Intifada” è scoppiata proprio subito dopo il discorso di Abu Mazen all’Assemblea Generale dell’Onu. Sarebbe dovuta bastare la condanna del vicesegretario dell’Onu, Jan Eliasson, che ha scaricato su Israele la colpa per gli attacchi terroristici, spiegando che sono conseguenza dell’“occupazione”. Oppure la risoluzione dell’Unesco di due giorni fa, che ha condannato “l’aggressione israeliana alla Spianata delle Moschee” e che ha attribuito ai palestinesi due siti fondamentali per la tradizione ebraica (la Tomba di Rachele e la Tomba dei Patriarchi a Hebron). Perché l’Onu, che nel 1948 accolse lo stato ebraico nella famiglia delle nazioni, oggi sembra diventata uno dei maggiori focolai di odio per Israele. La sua colonna sonora è quella di Mohammed Assaf, idolo delle folle e cantore dell’odio (speriamo) a insaputa dell’Expo.
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