Sul treno per Roma tutti mangiano snack e si indignano per il salame
Il mio riflesso nel vetro si fa più nitido ogni volta che il treno entra in una galleria. Cerco un palliativo, qualsiasi cosa, pur di disincagliare l’attenzione dalle secche delle conversazioni altrui: ogni viaggio da Milano a Roma e viceversa dura abbastanza per appuntire i soliti desideri di apocalisse, per visualizzare catastrofici incidenti da cui salvarsi a scapito di tutti gli altri passeggeri. La parlantina che coglie l’italiano su rotaie ha qualcosa di grottesco: più gli annunci registrati ricordano di moderare i toni e di abbassare la suoneria dei telefonini, più i toni sono isterici e le suonerie suonano (macarene, “Nove settimane e mezzo”, Britney Spears, cavalcate delle valchirie, moltissimo Tiziano Ferro); conversazioni vanagloriose, la drammaturgia dell’ostentazione a ogni costo. Di simpatia, savoir faire, faccia tosta.
Forse capita solo a me, ma nove passeggeri su dieci fanno mestieri pazzeschi, interessantissimi, maneggiano soldi e patiscono il peso di responsabilità indicibili: sembrano la rappresentazione a vivo dell’autonarrazione che di se stessi fanno sui social network, tipo che il più sfigato è come minimo James Bond. Oggi sono tutti medici. Biologi. Oncologi. L’argomento del giorno: la carne rossa. Si intendono. Sanno. Peggio: l’avevano detto. Sui tavolini pieghevoli, comunque, nessuno si fa mancare una bevanda gassata. Ben prima della stazione di Firenze, a sentire il mormorio generale, comincio ad avvertire i primi sintomi di cancro al colon. C’è indignazione. Questa storia dell’Oms ha mandato in pappa i cervelli: c’è un’aria da complotto gastronomico-mondialista svelato. I vegetariani a bordo li riconosci: hanno l’aria tronfia di chi ha vinto una Coppa dei Campioni. Annuiscono e si dànno pacche sulle spalle, mentre approfittano della breve sosta per una sigaretta. Verso Bologna l’odore mefitico di Pringles all’aceto ha ormai del tutto impedito al mio sistema nervoso centrale di distinguere i confini degli oggetti. E’ un’esperienza più che lisergica, da overdose di peyote: il lettore penserà a un’esagerazione drammaturgica. Non è così: Pringles all’aceto, al peperoncino e a un altro gusto che non ho identificato ma che potrebbe essere cipolla. Ne siamo appestati. Forse fanno bene al colon. Si attiva qualcosa nel mio cervello che ha a che fare con la curiosità, col mio istinto di “narratore”.
[**Video_box_2**]Mi alzo, fingo una pipì e per accedere al bagno mi faccio tutta la carrozza. Il censimento non preciso che ne ricavo parla di diciotto persone intente a mangiare: oltre alle Pringles suddette, vorrei elencare una scatola di Cipster, almeno tre buste di patatine classiche San Carlo “1936 antica ricetta” (non è product placement: è statistica), due tramezzini di quelli confezionati sottovuoto (intercetto gamberetti e pomodori, quelli freschi, tipici di fine ottobre, vedo una specie di roast-beef e qualcosa di lattiginoso che potrebbe anche essere maionese), una profusione inquietante di biscotti tipo Baiocchi, Ringo, pop corn in busta, Kinder “Fetta al latte”, Kinder Brioche, una busta di caramelle gommose a cui la tenutaria accede con una frequenza spasmodica e tutto questo ben prima di mezzogiorno. Dietro di me, a bocca piena, una ragazza meno che trentenne si rivolge alla sua vicina di posto: “Te l’avevo detto che erano buonissime…”. La risposta: “Sì, ma non sento il piccante!”. Non ho avuto il coraggio di girarmi a guardare. A bocca piena si inviperiscono contro presunte multinazionali, colpevoli di “avvelenare i nostri figli”. Un po’ leggono statistiche a voce alta seguendo il rigo di testo con l’indice, un po’ accartocciano buste di noccioline americane “confezionate in Italia”. Qualcuno sta infilando una velina col logo “Big Babol” (esistono ancora le Big Babol) dentro a un tubo di Pringles, vuoto anch’esso.
Chiudo gli occhi.
Quando li riapro sono a Roma.
Distributori automatici sputano lattine. In coda, almeno cinque persone sognano di provare per primi il nuovo gusto di caramelle Haribo.
Stasera tutti mangeranno verdure bollite.
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