Dietro il linciaggio del giudice Deodato
Il grazioso linciaggio mediatico a cui è stato sottoposto il giudice Carlo Deodato, estensore della sentenza del Consiglio di stato sulle nozze gay, ha un suo interesse per una serie di ragioni che riguardano il tragico e surreale impatto che ha sulla nostra società e sul nostro modo di ragionare una nuova egemonia culturale: quella del pensiero unico. Apprendiamo dalle letture dei giornali di ieri (leggete qui) che la scelta del giudice del Consiglio di stato di votare a favore dell’annullamento del registro del comune di Roma per la trascrizione delle nozze gay celebrate all’estero corrisponderebbe a un atto “integralista”, in quanto il suddetto giudice sarebbe un difensore della famiglia tradizionale. Se ne deduce dunque che chi oggi dice no alle nozze gay e difende la famiglia tradizionale non è solo un pericoloso conservatore nemico del progresso ma, come dice bene ancora sulla Stampa il senatore del Pd Sergio Lo Giudice, è un orrendo fondamentalista nemico dell’umanità.
La polizia del pensiero che spaccia per omofobia la difesa della famiglia tradizionale non è però l’unico elemento che emerge dal caso Deodato ma è uno dei tanti che ci permettiamo di portare all’attenzione anche all’autorevole presidente della commissione Giustizia della Camera (Pd), che in un’ottima intervista sempre alla Stampa ha detto che il caso Deodato dimostra che se c’è un problema che si pone il problema è “quello della nuova frontiera dei social” (sic). A voler seguire alla lettera il criterio secondo il quale il giudice Deodato sarebbe unfit to judge per la semplice ragione di essere un cattolico contrario ai matrimoni gay, se ne dovrebbe desumere che se si è cattolici non si può giudicare su alcune questioni che riguardano temi eticamente sensibili come per esempio i diritti civili. Deodato dice giustamente di aver espresso il suo voto in punto di diritto e non in punto di diritti ma le accuse che gli sono state rivolte in queste ore creano un parallelismo naturale, seppure un po’ forzato, tra il suo caso e quello più famoso e americano di Kim Davis, la funzionaria pubblica del Kentucky, cattolica, finita in galera per essersi rifiutata di mettere la sua firma su certificati di matrimonio per le coppie omosessuali.
[**Video_box_2**]Gli episodi sono diversi, certo, ma il tema esiste e bisognerebbe essere onesti e formulare la critica a Deodato in modo completo. Senatore Lo Giudice, glielo dica chiaro e tondo al giudice quello che lei pensa davvero: caro Deodato, lei non può giudicare perché essere cattolici e avere in testa solo un’idea di famiglia come quella tradizionale è incompatibile con la nuova dittatura del pensiero unico. Per completare il ragionamento, infine, il nostro amico Pierluigi Battista ha ragione quando dice, sul Corriere della Sera, che un giudice dovrebbe parlare solo con le sentenze. Ma bisognerebbe anche notare, per essere precisi, che in un paese in cui vi sono magistrati che rivendicano il diritto di essere supplenti della politica, che partecipano con la toga ai convegni dei partiti e che possono giudicare gli stessi politici scomunicati da loro stessi per ragioni morali, in un paese del genere è quanto meno strano che questa regola sacrosanta possa essere violata da tutti e debba valere solo per il signor Deodato.
Il Foglio sportivo - in corpore sano