Un bollino mafioso e vi solleverò l'Italia
Se dici che la dizione Mafia Capitale è una bojata, senza mezze misure, ti attiri un quasi completo isolamento, la reputazione del reprobo e le querele dei magistrati inquirenti. Perché salire questo piccolo Calvario? Per amore della verità, anzi della controverità, l’unica superstite nel confusionismo del Giornalista Collettivo. Ieri, mentre le agenzie rilasciavano la notizia che il solito giudice a Berlino, il gup di Palermo, aveva assolto Calogero Mannino nel processo parallelo, stralciato, sulla trattativa stato-mafia (perché l’imputato “non ha commesso il fatto”), leggevo Giovanni Bianconi nel Corriere della Sera. Bianconi è cronista giudiziario più che Collettivo; è convinto come i suoi colleghi che quando il procuratore capo romano Guseppe Pignatone ha annunciato a un convegno del Pd romano che in fatto di criminalità mafiosa a Roma se ne sarebbero a giorni viste delle belle, e quando poi sono scattati gli arresti e le accuse e le diffusioni pilotate degli origliamenti all’insegna della parola d’ordine Mafia Capitale contro l’ex ergastolano redento Salvatore Buzzi e il Riina della pompa di benzina Massimo Carminati (non la famiglia ma un distributore Agip era la sede dirigente di questa associazione da me ribattezzata la Corleone dei cravattari), ecco, allora giustizia è stata fatta, e giustizia antimafiosa.
Oggi si apre il processone, maxiprocesso dicono, e vedremo che cosa ne verrà fuori. Il dibattimento pubblico è occasione a volte di chiarificazione. Ma questo dibattimento, come tutti quelli di argomento mafioso-antimafioso, è a regime mediatico-giudiziario un po’ speciale. La mia modesta tesi, e scandalosa, la conoscete. A Roma c’era, specie in un ambito democratico e progressivo, quello della redenzione sociale dei carcerati e del mondo cooperativo, ma con forti trasversalismi che interessano la destra di lotta e di governo, gli alemannoidi, una diffusa tendenza pratica alla corruzione di funzionari, imprenditori, manager che ruotavano intorno al bilancio pubbico del Comune: avidità, mezzi truffaldini, pubblici ufficiali e funzioni pubbliche piegate, con le buone e con qualche elemento di grottesca e vernacolare intimidazione (tipo “je do ’na martellata”), il tutto a scopi di arricchimento sociale delle cooperative, a scopi di potere e di arricchimento privato di redditi e patrimoni. Tutte cose da colpire con i rigori di una legge che pretende costituzionalmente il giusto processo, cioè l’accertamento per vie giudiziarie corrette di responsabilità penali e personali. Con l’aggiunta, sconosciuta ai codici più seri e moderni del nostro, dell’associazione per delinquere, un reato appunto associativo che spesso confonde le responsabilità e consente non giusti ma ingiusti (proceduralmente) processoni o maxiprocessi. C’è poi il discorso sulla corruttela assistenzialista e sulla spesa pubblica facilmente fuori controllo, che emerge in altri ma contigui termini anche dalla gestione siciliana dei beni confiscati ai mafiosi, con il sospetto di corruzione fin dentro la magistratura e altro. Ma non voglio sottilizzare. Diciamo che allo stato degli atti e delle intercettazioni una associazione a delinquere secondo il codice penale è ipotizzabile e non scandalizza.
Perché dunque il bollino mafioso? Perché teorizzare, tra sociologia urbana e diritto positivo, che quella romana non è delinquenza o corruzione in atti pubblici ma una forma, come riferisce il Bianconi Collettivo, “originale e originaria” di mafia con la maiuscola e il nome di Roma associato? (Originale perché non è come Cosa Nostra o la ‘ndrangheta: no morti, no armi, no famiglie, no iniziazione, no tutto. Originaria perché nostrale, tipica di Roma e dei suoi sette colli e nata lì.) E’ lo stesso problema della famosa trattativa stato-mafia. Devo essere franco. Su questo giornale leggeste molto prima delle indagini di Nino Di Matteo e di Antonio Ingroia, e dell’interminabile telenovela dibattimentale, la verità cronistica, che non è necessariamente quella storica ma le assomiglia: dopo le grandi stragi del 1992, con lo stato scombussolato dalla violenza dell’offensiva mafiosa, esecutivo e giudiziario, mandando avanti prima i carabinieri e poi lo stesso pm Caselli, in forme diverse, e magari facendo qualcosa in cambio, cercarono di ottenere una tregua di sicurezza da famiglie mafiose, all’occasione rappresentate dal loro uomo in abiti civili. il celebre Vito Ciancimino, politico réfoulé e mafioso organico. Ma mettere il bollino di “trattativa” a scopo promozionale mafioso a questa che molti insigni giuristi considerano una ordinaria attività di sicurezza dello stato ha avuto un valore particolare. Come per Mafia Capitale.
Il bollino mafioso non è irrilevante. Consente una certa gestione allargata e onnipotente delle indagini, che diventano come scrisse il magistrato di sinistra Piero Tony, inchieste-reportage, grandi storie da abbuffata mediatica. Consente, honni soit qui mal y pense, carriere magistratizie più brillanti, e poteri combinati di giustizia e di storiografia della Repubblica, la peggiore commistione possibile dei generi. Consente, il bollino, campagne giornalistiche e politiche capaci di manipolare l’opinione pubblica, sollecitare gli spiriti animali dell’antipolitica, realizzare scopi vari di supplenza dei poteri non elettivi, il tutto estraneo a scopi di giustizia penale da paese civile. Sono troppo drastico? Non ho aspettato di vedere bene le carte? Schiaffeggio i leoni dell’antimafia e diffamo gli eroi? Può essere, e in tal caso me ne dolgo con me stesso e con gli eroi. Ma sono sicuro del contrario, moralmente e professionalmente sicuro dopo decenni di osservazione della realtà italiana e delle sue gravi deformazioni, specie in fatto di diritto e di media.
[**Video_box_2**]Comunque Mannino, testa di turco di tutto il Giornalismo Collettivo dai tempi della fucilazione da Santoro e delle inchieste facilone di Deaglio, un uomo oppresso e quasi distrutto da un certo spirito antimafioso, è stato assolto. Credo che dovrebbe accadere anche ad altri imputati di Palermo colpiti dal bollino mafioso, alcuni dei quali noti per avere catturato Riina, altro che storie. E spero che Buzzi e Carminati e gli Odevaine e tutti gli altri siano condannati per quello che hanno fatto eventualmente e probabilmente, non per quello che gli si attribuisce in modo spropositato e abnorme e improbabile: la mafia. Lo dico per convinzione ferrea maturata leggendo i vari Bianconi, le carte e cartuccelle del processo, le disdicevoli veline alle quali abboccano felici i pistaroli, i nastri goffi delle intercettazioni, e per aver osservato le circostanze fattuali di questa strana mafia originale e originaria, che è servita a una campagna di giustizialismo diffuso e non di giustizia puntuale da parte di un pool giudiziario e mediatico che non conosce Roma, ma conosce bene l’arte di rigirare le frittate per sfondare i muri e arrivare al palcoscenico (è critica politica e professionale: no querele, prego). E ora datemi pure il bollino mafioso: voglio considerarlo un blasone di nobiltà (sbrasata finale per non morire di noia).
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