La prima udienza del processo di Roma di Mafia Capitale (foto LaPresse)

AAA. Cercasi nuove icone antimafia

Massimo Bordin
Storia della delocalizzazione del circo mediatico da Palermo a Roma

Roma. La prima immagine del debutto del gran processo Mafia Capitale la si coglieva giovedì mattina prima ancora di varcare i cancelli del palazzo di giustizia romano a piazzale Clodio. Le telecamere erano in grande attività in attesa di essere ammesse in aula e i cronisti televisivi si arrabattavano in collegamenti privi di notizie. Prima che inizi la partita si possono però fare congetture e ricevere anticipazioni sulla formazione che scenderà in campo, svelare lo schema di gioco. Oppure concentrarsi sulle coreografie delle tifoserie. Per esempio giovedì ai cancelli del tribunale venivano distribuiti volantini contro la “legge bavaglio”, manifestazione tutto sommato più sobria degli sventolatori di agende rosse di fronte all’aula palermitana dell’Ucciardone e ormai anche dentro di essa. Segno di un “calo di tensione”? Può essere, ma forse i recenti rovesci della procura palermitana, per non parlare del tribunale sui beni confiscati, impongono una sorta di delocalizzazione al circo mediatico-giudiziario della "antimafia". Questa impressione giovedì poteva rafforzarsi appena guadagnata, con qualche fatica per la ressa, l’aula magna del tribunale intitolata al pubblico ministero Vittorio Occorsio. Al cronista con qualche decennio di attività alle spalle, non poteva sfuggire l’immagine di una icona dell’antimafia d’antan. Già in toga, un po’ ingrigito ma sempre compreso nel ruolo, il professore Alfredo Galasso chiacchierava con colleghi e cronisti. Era salito da Palermo per svolgere il ruolo che aveva svolto quasi trent’anni fa nel maxi processo istruito da Falcone e Borsellino: la parte civile. E’ vero che in questo processo rappresenta la Confindustria, in nome della libera concorrenza colpita dalle trame di Carminati e della sua piovra che stendeva i tentacoli da un distributore di benzina, ma la presenza di Galasso può assurgere a simbolo della necessitata delocalizzazione. Del resto, se la mafia ha seguito la linea della palma, che avanza verso nord, perché non dovrebbe farlo l’antimafia? Se mai quello che colpisce è il sapore di remake dell’operazione.

 

Lo schema è in fondo lo stesso, la mobilitazione della società civile, 30 anni fa intorno a Leoluca Orlando, oggi magari intorno a Ignazio Marino. I “buoni” però, per sentirsi tali, hanno bisogno di qualcuno da mettere al bando dalla loro “società civile” come fecero allora con Leonardo Sciascia, che purtroppo non c’è più. Qualcuno troveranno. Se lo schema dei “buoni” si presenta collaudato ma vecchiotto, quello dei cattivi è annunciato con qualche novità. Ne ha parlato, prima che l’udienza iniziasse, l’avvocato Giosuè Naso, difensore di Massimo Carminati e di altri due imputati ritenuti dall’accusa stretti sodali del “samurai” di Roma Nord. “Carminati, quando sarà il momento opportuno, si difenderà in maniera diversa rispetto agli altri processi nei quali ha mantenuto un dignitoso silenzio. Qui ci sono dei fatti concreti e risponderà di quei fatti”. Tanto è bastato a scatenare le aspettative dei cronisti e degli astanti, anche se per la verità Carminati è stato, fra l’altro, processato, e assolto, per un omicidio e condannato per una rapina al caveau della banca dello stesso tribunale dove ora è di nuovo processato. Almeno questi sembrano fatti di una certa concretezza rispetto alle accuse ora rivoltegli. E lo stesso avvocato Naso, presentando in udienza una istanza di nullità ha definito quello che giovedì si è aperto “un processetto, dopato da una campagna giornalistico-mediatica”.

 

[**Video_box_2**]Dunque Carminati si difenderà nel merito, ma dovrà farlo in video conferenza, collegato da un carcere lontano da Roma. Proprio su questo aspetto, che accomuna pochi altri imputati, oltre all’avvocato Naso anche l’avvocato Valerio Spigarelli ha sostenuto come l’assenza dall’aula riduca gravemente i diritti dell’imputato. La giurisprudenza però, come non ha mancato di far notare il pm Giuseppe Cascini, supporta l’uso delle videoconferenze in giudizio con tre sentenze della corte costituzionale e anche con una più recente della corte europea dei diritti dell’uomo. E il tribunale ha respinto con una ordinanza le richieste in merito dei difensori. E’ stato questo il momento più significativo di una lunga udienza dove si sono poi alternati i legali che rappresentano le parti civili che chiedono di costituirsi, quarantatré in tutto, dal ministero dell’Interno al consorzio di Castel Porziano. Difficile vengano accolte tutte. Ci sono anche due consiglieri comunali, il capogruppo del M5s Marcello De Vito e il radicale Riccardo Magi. Se parlerà fra due settimane, il 17 novembre, nell’aula bunker del carcere di Rebibbia.