Nel calderone dei patrimoni dell'umanità dell'Unesco vuole entrarci anche la bagna cauda
La pizza napoletana; la bagna cauda piemontese; il gaucho argentino (e brasiliano, e uruguayano); i campanacci portoghesi; la salsiccia slovena di Kranjska; il tiro alla fune vietnamita; la coltivazione dell’ananas in Venezuela; il caffè del Qatar; i rituali per la nascita dei cammelli in Mongolia; i burattini egiziani; l’artigianato del rame in Azerbaigian hanno tutte una cosa in comune: sono alcuni delle tradizioni gastronomiche o musicali o artigianali o folkloriche che stanno chiedendo l’iscrizione alla lista dei patrimoni orali e immateriali dell’umanità dell’Unesco.
“Patrimoni dell’umanità”, si dice nel linguaggio corrente. Stessa denominazione di un’altra lista dell’Unesco, quella che riguarda siti archeologici e culturali. “Vorremmo far diventare la bagna cauda un patrimonio dell’umanità come la pizza”, hanno spiegato gli organizzatori del Bagna cauda Day che a partire da Asti si celebrerà dal 20 al 22 novembre in 108 ristoranti di tutto il mondo, da New York al Giappone.
In realtà, la pizza non è “patrimonio dell’umanità” in senso stretto, il suo ingresso in solitaria fu bocciato nel 2012. Lo è diventata in quanto inserita all’interno della dieta mediterranea – nelle sue componenti italiana, spagnola, greca e marocchina – che dal 2010 fu inserita nella lista ufficiale (nel 2013 sono state aggiunte anche le componenti portoghese, croata e cipriota).
Più che alla pizza la bagna cauda guardi altrove, perché in quel calderone che ormai è diventata la lista dei patrimoni dell’umanità c’è un po’ di tutto: dall’arte del violino di Cremona ai pupi siciliani, dal canto a tenores sardo, alle tecniche di coltivazione della vite ad alberello di Pantelleria, quella del Zibibbo per intenderci.
[**Video_box_2**]Questo almeno a oggi, perché la presenza del nostro paese potrebbe ampliarsi. Lo scorso 26 marzo l’arte dei Pizzaiuoli Napoletani è stata ufficialmente candidata dalla Commissione Italiana Unesco, e per sostenerla Coldiretti, Univerde e Pizzaiuoli Napoletani dall’inizio di settembre hanno iniziato la raccolta di un milione di firme. Una battaglia in cui oltre al sindaco di Napoli Luigi De Magistris si è messo in prima linea anche un altro leader politico da tempo uscito di scena come Alfonso Pecoraro Scanio, e che secondo Coldiretti è anche per tutelare la tradizione da un’alluvione di materie prime di non elevatissima qualità quali le mozzarelle da cagliate dell’Est Europa, il pomodoro cinese o americano, l’olivo di oliva tunisino e spagnolo o addirittura di semi, la farina francese, tedesca o ucraina.
Se la pizza per entrare nella lista punta tutto sul fatto di essere talmente conosciuta che ormai in tutto il mondo la fanno con varianti locali, della bagna cauda cerca di fare leva sulla dimensione opposta, quella di essere quasi esclusivamente concentrata in Piemonte. Il rito dei commensali di intingere le verdure in una salsa mantenuta calda da un fornelletto, sta infatti perdendo estimatori in Italia, ma paradossalmente continua a essere conservato nei luoghi dell’emigrazione piemontese nel mondo: dall’America alle Falkland-Malvinas.
Dall’altro lato del globo, lì dove qualche emigrato continua nella preparazione della bagna cauda, anche i gauchos provano a entrare in lista. Popolarmente definiti i “cow-boys argentini”, essi sono in realtà presenti anche nella tradizione dei Paesi vicini. Tecnicamente i gauchos sono anzi più antichi dei cow-boys nordamericani, dal momento che se ne trovano le origini addirittura nel XVI secolo.
“Saludos amigos” è un cartone animato d Wat Disney che in nome della solidarietà panamericana faceva uno spassoso paragone tra i costumi di cow-boys e gauchos: somiglianze e differenze. A partire dal fatto che i cow-boys erano noti pistoleri, mentre i gauchos ci sono descritti anche da Borges come maestri nell’arte del coltello: un pro-memoria per i dirigenti dell’Unesco, a stare bene attenti prima di bocciare la candidatura?
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