Ma se Valeria fosse stata un'oca, non combatteremmo?
Scrivere un’orazione funebre o costruire un simbolo civile, se non sei Marco Antonio, sono due cose che si dovrebbero evitare sempre. Ma non sono momenti, questi, in cui ci si possa sottrarre e il funerale di Valeria Solesin, “l’Italienne”, è un fatto che sta lì, più inaggirabile del catafalco in piazza San Marco. Dunque Aldo Cazzullo ha fatto, sul Corriere, il suo dovere. Diciamo dovere militare: nell’accezione dissimulata e onesta, neghittosa e troppo sbilanciata sui valori civili che le si dà oggi.
Ma questo non è colpa di Cazzullo. La critica che invece viene spontaneo muovere al suo “Ribellarsi nel nome di Valeria” è un’altra. Scrive: “All’inizio era solo la vittima italiana… Infine Valeria Solesin è diventata un simbolo”. Bene. “Si è scoperto che Valeria era davvero una bella persona. Una giovane donna. Una volontaria. Una ricercatrice. Attraverso di lei non solo abbiamo sentito ancora più vicina la strage di Parigi. Abbiamo in qualche modo esorcizzato il senso di colpa che proviamo verso i ragazzi della sua età”. E se invece fosse stata una stronza? Una ignorante? Una turista trasandata e sbevazzata come tutto l’Occidente si scambia con se stesso? Non combatteremmo per lei, per il suo diritto di vivere?
[**Video_box_2**]“Il male va combattuto e il male non è soltanto il nemico – conclude Cazzullo –, è anche l’ignavia, la rassegnazione, il ripiegamento su se stessi, la resa alla violenza o anche solo al destino. Se sapremo ribellarci a tutto questo, qualcosa di Valeria Solesin resterà”. Davvero vogliamo combattere il terrore, l’islamismo radicale, la terza mondiale a pezzi come fosse un antidoto alla depressione, una ginnastica anti invecchiamento? Per consolarci di essere stati concittadini di Valeria? O forse invece, semplicemente – ed è quello che Cazzullo evita di dire – dobbiamo farlo perché sono un male assoluto? Se fosse per Cazzullo, Not in my mame.
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