Perché una grande coalizione in Spagna è ipotesi remota
La grande coalizione in Spagna è sempre più remota, per un’alleanza tutta a sinistra si dovrebbero digerire bocconi che nessuno ha intenzione nemmeno di mettere sul piatto, se si continuano a escludere alternative, la possibilità di una nuova elezione a maggio risulta la meno remota. Nel giorno dopo il voto di Spagna, quello che ha segnato la fine del bipartitismo ma non si sa bene che cosa sia nato al suo posto, tutti fanno calcoli e previsioni, molti si leccano le ferite, perché quando nessuno vince davvero, tutti più o meno perdono. Il Partito socialista guidato da Pedro Sánchez è nella posizione più difficile: ha perso tantissimi voti, qualsiasi strada possibile potrebbe risultare un mezzo suicidio. Montserrat Domínguez, direttrice di El Huffington Post, dice al Foglio che “non è stata una cattiva campagna per il Psoe, i risultati sono migliori dei sondaggi dell’ultima settimana, che facevano pensare a un sorpasso da parte di Podemos”. Poteva andare peggio, insomma, non una grandissima consolazione, ma Domínguez difende il leader socialista, e semmai se la prende con i suoi predecessori: “Il Partito socialista è una forza vecchia, ma la sua nuova leadership è riuscita a dare l’impressione che il partito ha saputo affrontare un processo di rinnovamento – dice – Ma pesa ancora l’eredità dei vecchi governi, quello di José Luis Rodríguez Zapatero, e ancor più indietro quello di Felipe González”.
Durante la campagna elettorale, il Psoe ha cercato di ricavarsi uno spazio tra Podemos e Ciudadanos, scontrandosi direttamente con il premier, Mariano Rajoy. “Quando uno gioca una partita a poker, bisogna giudicare le sue azioni dalle carte che ha in mano – dice Domínguez –. Che carte usi quando devi affrontare due partiti che non hanno passato, non hanno storia? Usi il valore dell’esperienza, della tua capacità di governo, della storia della socialdemocrazia spagnola. Sánchez non ha giocato male le sue carte. Ma gli spagnoli ancora ricordano gli ultimi mesi del governo Zapatero, in cui l’esecutivo ha adottato misure per uscire dalla crisi economica che non hanno funzionato. Il Psoe inoltre è stato danneggiato dal vecchio stile di amministrazione dei partiti: scandali di corruzione, ministri che appena terminato il loro incarico entrano nei consigli di amministrazione delle imprese, e tutto quello che Pablo Iglesias di Podemos ha definito ‘casta’. Sánchez ha dovuto muoversi tra il ricordo dei grandi risultati della socialdemocrazia e al tempo stesso dimostrare che è cambiato, che aveva rinnovato il partito”. Per Domínguez, il problema per Sánchez è dentro al Psoe: “La presidente andalusa Susana Díaz sta cercando di capire come andrà il periodo post elettorale per decidere se lanciarsi a conquistare la segreteria generale”.
Ora però bisogna pensare a cosa accade adesso: c’è il voto di fiducia da dare al vincitore delle elezioni, a gennaio, e poi due mesi di tempo per formare un governo. Domínguez spiega che i costi per i socialisti sono alti, “subiranno pressioni da parte dei poteri economici e politici e da parte della vecchia guardia del partito”, e questo potrebbe influire sulla decisione finale: “Come ha detto Sánchez domenica notte, nel paese c’è una maggioranza di sinistra, e un’astensione in favore dei popolari sarebbe considerata come un tradimento da parte dell’ala più a sinistra del partito”. L’alternativa è un governo di sinistra, “che però avrebbe bisogno dell’appoggio di molte forze, di Podemos e di Izquierda Unida ma anche dei secessionisti catalani, il cui rapporto con i partiti nazionali è molto sfilacciato a causa della questione indipendentista”. Comunque vada, dice Domínguez, c’è un prezzo politico: “La grande coalizione è l’unico scenario che scarterei. Il Psoe si sparerebbe sulle ginocchia se accettasse di fare un governo di coalizione con Rajoy. Un conto è permettere che il partito più votato governi (e già questo creerebbe dei problemi a Sánchez), un’altro è mettersi in coalizione. Nelle scorse settimane si è parlato però anche di un governo di coalizione con un altro presidente che non sia Rajoy. Ma anche l’appoggio di Podemos costituisce un rischio politico tremendo per il Psoe: Iglesias chiede una riforma costituzionale impossibile non solo politicamente, ma anche numericamente, e inoltre Podemos ha rubato la gran parte dei suoi voti ai socialisti. Buona parte della dirigenza socialista ha un’autentica allergia per Iglesias. Al tempo stesso, però, ci sono anche voci dentro al partito che chiedono un patto di sinistra, e se questo può portare Sánchez al governo non lo si può scartare”. Secondo la direttrice de El Huffington Post, ci sono tre scenari possibili per ora: o un governo del Pp nominato grazie all’astensione dei socialisti, con Rajoy molto debole; o un governo di sinistra guidato dal Psoe ma realizzato grazie a patti complessi e fragili; oppure nuove elezioni nel giro di pochi mesi”. Poco da stare allegri, insomma, ma anche se Podemos ha travolto la sinistra tradizionale, con l’obiettivo di sostituirsi a essa, Domínguez ridimensiona il radicalismo della formazione di Iglesiasi: “All’inizio le proposte di Podemos erano populiste e radicali, ma questo ormai è sparito dal suo discorso, e non è un caso che molti dei suoi elettori vengano dal Partito socialista, che è un partito moderato. Questa è una delle ragioni del buon risultato di Podemos, la sua progressiva moderazione”.
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