Il bullismo non si batte colpevolizzando gli adulti e aggiungendo altre leggi
Buttarsi di sotto a dodici anni, perché “io stavo soffrendo e morendo dentro di me” e “per alcuni di voi sarà certo una notizia bellissima”, insomma per colpa dei compagni di scuola e del “bullismo” – che è una crudeltà infantile che esiste da sempre, solo che oggi sembra più strutturata come fatto sociale e magari lo è davvero – è una tragedia, punto. E il caso della ragazzina di Pordenone che per fortuna non è morta sembra quasi un segno di speranza.
Sul fenomeno del “bullismo” in sé, c’è da notare almeno l’abbassamento progressivo dell’età in cui queste situazioni si manifestano. Dell’effetto di amplificazione emotiva, e di rarefazione del principio di realtà, prodotto da social media non c’è nemmeno da stare a dire: esiste, punto.
Ci sono però due principi di precauzione che andrebbero tenuti bene in vista.
Il primo riguarda la stupida scorciatoia della colpevolizzazione degli adulti. Non soltanto i genitori (spesso distratti sì: ma vogliamo interrogarci su come oggi sono considerati la famiglia, o il principio di autorità?) ma anche degli insegnanti. I quali – a prescindere dal caso specifico, attendiamo approfondimenti – non sempre “si devono vergognare”, come ha strillato qualcuno. Ci sono prof. attenti e distratti, spesso è solo maledettamente impossibile cogliere dinamiche che a volte si manifestano sono nei pensieri dei ragazzi. I confini tra “bullismo” e fragilità esistono e sono sottili, non li può tracciare un preside.
L’altro principio di precauzione riguarda le proposte di legge per arginare il “bullismo” in rete. Quel che serve venga fatto, ci mancherebbe. E già c’è un ddl della senatrice del Pd Elena Ferrara “a prevenzione e contrasto del cyberbullismo”. Ma delegare a un’imposizione di una legge il controllo di fatti come questi, è la solita bugia.
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