L'Europa dei sepolcri imbiancati
Roma. Otto giovani musulmani, gli otto attentatori di Parigi, che nel video dello Stato islamico (Isis) squadrano gli europei negli occhi e dall’al di là di un deserto siriano li minacciano qualunque cosa facciano, ovunque vadano, ovunque si trovino. “Molti oggi in Europa non comprendono l’idealismo, l’impazienza e il sacrificio di sé che animano quei giovani”, dice al Foglio Walter Russell Mead, uno dei più noti intellettuali pubblici americani, politologo, studioso, saggista, docente al Bard College, direttore della prestigiosa rivista National Interest, fondatore della New American Foundation, autore di fortunati saggi come “God and Gold” sulla supremazia anglosassone. Lo intervistiamo mentre Schengen entra in crisi e l’Europa, oltre che ferita, appare fragilissima.
“Non ho mai visto in vita mia una Europa così debole, così divisa, così confusa”, dice Russell Mead. “Non lo affermo da una posizione di sciovinismo americano, anche gli Stati Uniti sono in difficoltà. L’occidente in genere oggi subisce una crisi di identità e di scopo e i fallimenti americani, per visione e scopo, contribuiscono ai problemi dell’Europa. Ma guardando soltanto all’Europa, è dai tempi del Piano Marshall che essa non è stata tanto divisa. Divisioni profonde e pervasive: nord contro sud, est contro ovest, Inghilterra contro continente, l’Eurozona contro se stessa. Le divisioni non sono semplicemente politiche. Tali controversie fanno parte della vita politica e non sono necessariamente un segno di malessere. Ma le divisioni in Europa oggi sono diverse: oltre alle dispute politiche a volte aspre, vi sono questioni irrisolte sulla natura e lo scopo del progetto europeo che danno linfa alla società europea e ne minano lo slancio”.
Questi problemi più profondi hanno due origini indipendenti, anche se non del tutto estranee: “La crisi economica del modello sociale europeo e la crisi spirituale della società europea postmoderna. Il welfare del mondo occidentale non è più sostenibile. Il problema è aggravato dal catastrofico declino dei tassi di natalità che rende vecchi i sistemi pensionistici. Paesi come l’Italia, dove il tasso di natalità è eccezionalmente basso e dove lo stato è meno efficiente e più clientelare che in alcuni paesi occidentali, stanno avendo maggiori difficoltà. La crisi spirituale dell’Europa postmoderna ha molte dimensioni e sono le conseguenze di una cultura che diventa fatalmente estranea alle sue radici più profonde. Le tre forze più importanti della storia europea moderna, non sempre benigne e certamente che non lavorano sempre insieme, sono il cristianesimo, il nazionalismo e l’illuminismo. Il cristianesimo potrebbe talvolta scadere in clericalismo e reazione; il nazionalismo può essere pervertito in sciovinismo e fascismo, e l’illuminismo può cedere alla tentazione totalitaria. Tuttavia, queste tre correnti di pensiero tra di loro hanno sostenuto la fioritura culturale, sociale, economica e politica della società europea. Ciò che è interessante nell’Europa di oggi è vedere che la costruzione del progetto europeo è sempre più scissa da tutte e tre queste fonti della grandezza europea. Il cristianesimo è considerato, nel migliore dei casi, una reliquia, e nella peggiore un imbarazzo; il nazionalismo è visto come intrinsecamente distruttivo e l’eredità dell’Illuminismo è sacrificata sull’altare della tolleranza per le norme culturali e religiose degli immigrati dal mondo islamico. Così dunque definirei il malessere di oggi dell’Europa: un senso profondo e pervasivo di alienazione dal proprio sé più profondo”.
Più che uno scontro fra civiltà, appare come lo scontro fra due modelli in crisi, l’Europa e l’islam: “Ciò che vediamo è l’interazione reciprocamente distruttiva di due civiltà, ognuna in una crisi a se stante. Il mondo dell’islam si trova di fronte ai suoi più profondi problemi come la guerra settaria, il fanatismo religioso, la passione nazionalista e gli insuccessi della modernizzazione. Da questo calderone di guerra civile, disastro economico e stallo politico, rifugiati e migranti sono arrivati a milioni in Europa. Loro, e i fanatici che si mescolano a loro, portano sfide sociali ed economiche che l’Europa non vedeva dai grandi movimenti dei popoli nel Medioevo. L’Europa soffre per questa vicinanza a un mondo islamico in fiamme. Ma la sfida arriva in un momento in cui la civiltà europea ha sfide proprie. Sono meno rumorose delle sfide del Mediterraneo, ma marciscono; sono meno drammatiche del fuoco, ma sono altrettanto distruttive e la facciata imponente dell’Europa fatta di unità, di ordine e di libertà è più fragile, più in pericolo di quanto non sembri”. Dopo le stragi del 13 novembre, lei ha scritto un saggio per spiegare che Bruxelles è, nelle parole di Joseph Conrad, “la città dei sepolcri imbiancati”.
“Non è la migrazione musulmana ad aver causato la crisi dell’euro. L’infelicità della Gran Bretagna per l’attuale sistema europeo non è stato causato dalla guerra in Siria. E la crisi più profonda dell’Europa, il decadimento delle sue forze spirituali e culturali che hanno fatto del continente la regione più dinamica sul pianeta terra, non deve nulla alle sfide e ai problemi esterni dell’Europa. Per questo ho chiamato Bruxelles la capitale del mondo postmoderno: qui migliaia di eurocrati lavorano duramente per il futuro post storico. Purtroppo, i problemi di Bruxelles si sono diffusi in tutta Europa e, anzi, attraverso l’occidente nel suo complesso”. Dal Canada, che ha ritirato anche sei aerei impegnati contro l’Isis, alle democrazie europee, si vede poca risoluzione nella guerra al Califfato. Perché? “Fin dal conflitto 1914-1918, l’Europa ha cercato di sfuggire lo spettro della guerra. Dati gli orrori della Prima guerra mondiale, questa è una cosa molto ragionevole per certi versi. Purtroppo, se bisogna essere in due per ballare il tango, ne basta uno per iniziare una guerra. Già nel 1930, la Gran Bretagna, la Francia, i Paesi bassi e la Danimarca erano pronti a rinunciare alla guerra. Purtroppo, Hitler e Stalin avevano altre idee. In molti modi, i nostri problemi oggi sono gli stessi di quelli dell’Europa negli anni Trenta. Una politica di pacifismo e disarmo può invitare, piuttosto che impedire, il cataclisma che si cerca di prevenire. La minaccia che l’Isis pone alla sicurezza occidentale non è militare convenzionale, ma un simbolo di successo del jihad”.
[**Video_box_2**]Non è che noi secolarizzati europei siamo ormai sordi alla passione religiosa? “La cecità dell’Europa verso i pericoli dell’islam radicale ha diverse cause. Una è semplicemente demografica: un calo del tasso di natalità e l’aumento della longevità ha reso l’Europa una società dominata dagli anziani. Tali società non riescono ad apprezzare il potere delle idee che rapiscono i giovani. La crescente difficoltà che molti europei trovano a comprendere il potere e il fascino delle idee religiose contribuisce alla passività relativa e all’indifferenza. Oltre a ciò, l’Europa è nel complesso relativamente prospera, e questa ricchezza rende difficile comprendere la mentalità di coloro che sentono di avere tutto da guadagnare e niente da perdere”.
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