Il ministro Beatrice Lorenzin (foto LaPresse)

La maternità cool

Annalena Benini
Colloquio con Beatrice Lorenzin, che vuole ridare “il prestigio sociale” alle madri, e anche la libertà di non svegliarsi un giorno e dire: che cosa mi sono persa?

Ci hanno cresciuto assicurandoci che c’era tempo, hanno detto: prima sistemati. Sistemati, ma quando mai sei sistemato? Mai”, dice Beatrice Lorenzin, cullando suo figlio in piedi in un angolo dell’ufficio, lui le rigurgita un po’ di pappa gialla sulla giacca nera, lei dice grazie alla zia che lo prende in braccio e intanto dal passeggino la chiama la bambina con la gonnellina scozzese, non vuole dormire, tra dieci secondi piangerà forte, poi si addormenterà di schianto e il fratello verrà portato nel box che sta al centro dell’ufficio del ministro della Salute, così giocando non la sveglierà. “Mia zia mi aiuta, mia madre mi aiuta, mio marito mi aiuta, e quando i bambini sono nati, otto mesi fa, dopo i primi quindici giorni in cui non riuscivo nemmeno a camminare e mi faceva male tutto per il cesareo, l’ufficio si è trasferito a casa mia: sono il capo, posso farlo, decido io gli orari, posso perfino fare la nursery al ministero. Ma le altre? Le altre che devono vergognarsi di avere fatto un figlio, ma anche di non averlo fatto, ‘e quand’è che fai un bambino?’, ‘ah, che peccato’, non prendere la maternità, lavorare fino a quando si rompono le acque, non avere aiuto, non essere depresse, non essere ossessive, non ingrassare, non lamentarsi, non farlo pesare mai, non far dire di sé ‘appena l’ho assunta è rimasta incinta’, e non c’è nessuno intorno, invece, che applauda e gridi: grazie”. Nessuno applaude, ma tutti dicono: non nascono bambini, questo è un paese dei vecchi.

 

“Dicono che siamo il grande paese della famiglia, ma negli ultimi quarant’anni, dopo il baby boom, sulla famiglia non abbiamo fatto nessun investimento di capitale sociale, non abbiamo costruito una rete che permetta di sentirsi parte di qualcosa di grande, di utile, non abbiamo fatto sentire la gratitudine per credere nel futuro attraverso la cura dell’infanzia, e adesso abbiamo superato, al ribasso, una soglia psicologica terribile: meno di cinquecentomila nascite, un figlio virgola tre a coppia, un tasso di invecchiamento altissimo: dopo il 2024, che è oggi, che anzi è già quasi ieri, avremo molti più over sessantacinquenni rispetto ai giovani. Si sta realizzando in Italia il terrore dei cinesi: un paese di vecchi, senza nessuno a prendersene cura. Come vivremo?”. Il film distopico non occorreva crearlo, è già qui nella sua concretezza. Ma non ci sono soltanto le pensioni, le cure gratis, le medicine, il pensiero di ricoveri per anziani, di città progettate non per bambini ma per vecchi.  C’è qualcosa di più profondo, forse anche di più spaventoso, e Beatrice Lorenzin ne è ossessionata da molti anni, da molto prima di desiderare fortissimo un figlio. “Un paese che non ha un ricambio, che non ha giovani, è un paese morto, è amorfo, apatico, egoista, chiuso in se stesso, rattrappito sopra i propri bisogni”.

 


Il ministro Beatrice Lorenzin all'uscita dell’ospedale Villa San Pietro di Roma con i gemelli, Francesco e Lavinia, nati il 12 giugno dello scorso anno (foto LaPresse)


 

Ma le ragazze, le giovani donne, perché mai dovrebbero sentirsi in missione per conto del futuro, perché i loro compagni dovrebbero dire: certo, rinunciamo a questa piccola libertà, infiliamoci in cinquanta metri quadri con un bambino in braccio e salviamo il mondo, da soli, a mani nude, io ho perfino tre giorni di congedo parentale, che fortuna, forse ci danno anche il bonus bebè. “Dobbiamo fare moltissimo infatti, dobbiamo restituire il prestigio sociale alla maternità. Fare figli non è più fico”, dice il ministro con due gemelli di otto mesi in braccio, che la guardano stupiti, il maschio è più adorante, la femmina più battagliera. Forse fare figli non è mai stato fico, ma è sempre stato ovvio: adesso, da molti anni, ci si ribella, si rimanda, si è più indecisi, anche gaudenti, ma certo quelli che un figlio lo fanno si sentono sempre molto soli (e non ci sono sempre zie rassicuranti accanto). “So benissimo che il bonus bebè, che ho fatto quest’anno, non è certo la soluzione dei problemi, ma è un segno di attenzione a chi fa bambini, con il desiderio di non fare più distinzioni di reddito e di portarlo fino ai primi cinque anni di età di ogni figlio: dare da mangiare, cambiare il pannolino, vestire, dare le medicine a un bambino, ha un costo alto e uguale per tutti, copre grossa parte di uno stipendio normale”.

 

Non è solo un tema di sostenibilità e di welfare, dice Lorenzin, che è fiera di un sistema forte (fra i primi al mondo nel rapporto costi e benefici), ma è il tema politico assoluto, e però negato, ridicolizzato, ridotto a un capriccio personale che si fa largo in mezzo agli altri, e poi a un certo punto a un dovere mondano: “Essere madre dovrebbe essere un elemento di prestigio, dovrebbe essere cool: non un disvalore quando vai a cercare un lavoro, quando devi mantenerlo o quando ti ritrovi a svolgere attività apicali. Noi abbiamo questo paradosso: norme che sulla carta tutelano le madri e un messaggio culturale totalmente sbagliato, che a quelle madri dice: attenta, te ne stai approfittando”. Ma nemmeno questo basta a spiegare che cosa è successo, quello che il ministro della Salute, la madre con un orecchio al mondo e uno alla stanza accanto dove dormono adesso i suoi figli, chiama “rattrappimento”. “Non è nemmeno vero che le classi più alte, quelle che possono permettersi di alzare le spalle davanti al bonus bebè, fanno più figli. Ne fanno meno. Non significa certo che i servizi non hanno importanza, ma che c’è qualcosa che è finito, saltato, cambiato:  la società si è trasformata così velocemente, così di corsa, nel giro di due o tre generazioni è cambiato tutto, ma senza una vera riflessione accanto. Le nostre madri, le nostre nonne, ci hanno detto, anche con amore: non pensateci, godetevi la vita, scoprite nuove cose, siate libere, non fate come noi, non rinunciate a niente”. E’ stato bello, però, è anche molto bello avere questo senso ingannevole di onnipotenza e di libertà. “E’ stato fantastico, fino  a quando ci siamo chieste, ed è questa la storia di centinaia di migliaia di donne: che cosa mi sto perdendo? La cosa più bella della mia vita?, senza giudicare mai, nemmeno un istante, chi figli non vuole farne”. Questo pensiero ribelle e sfrontato e in buona fede, un pensiero che teneva dentro di sé anche il senso di un risarcimento dovuto, ne ha provocato un altro, più arrabbiato, più nascosto: “Il pensiero che quando fai un figlio non puoi più realizzarti come persona, devi rinunciare a tutto, un pensiero come una minaccia: se fai figli sei finito”.

 

Questa minaccia si è infilata velocemente nella nostra vita sociale e professionale, il serpente che si morde la coda non sta solo nei proverbi di un paese per vecchi, anche nella vita delle giovani donne che in ufficio annunciano: sono incinta, come se confessassero un reato, nascondono la pancia, promettono: non cambierà niente, sto benissimo, che vuoi che sia, e certo che non allatto, sarò produttiva. A Beatrice Lorenzin escono lampi dagli occhi, ha da poco smesso di allattare i gemelli, non per volontà ma perché alla prima pappa il latte è sparito, il suo corpo ha detto: basta. “Non sappiamo nemmeno che cosa significa allattamento, quale meraviglia di ristorante stellato è il latte materno: la ricerca ne sta scoprendo adesso il valore, ma non soltanto nutrizionale, il latte materno protegge i nostri figli per la vita intera, protegge gli esseri umani, gli adulti, ci sono cellule staminali che si trovano solo nel latte materno e arrivano al cervello, e noi lo trattiamo come un impiccio che ci rovina il seno: ma che messaggi mandiamo?”.

 

Beatrice Lorenzin fa l’elenco delle cose che ci si aspetta dalle madri, non è istituzionale ma racconta un mondo: essere intelligentissime, super performanti, lavorare fino all’ultimo momento, fare dei figli belli, sani e in salute e che non rompano le scatole, tornare al lavoro dopo cinque minuti, essere madri perfette, mogli o fidanzate accondiscendenti, belle e in forma e per niente stanche, farsi i selfie in sala parto e dopo due giorni per mostrare la pancia piatta, non essere emotive, poi dici perché viene la depressione post partum. “E in più sei sola: il mio caso è eccezionale, ho una famiglia pazzesca e questi due gemelli hanno innescato un entusiasmo generale, le amiche che ci portano il pranzo la domenica, una fortuna meravigliosa” (e al ministero collaboratori che tra una riunione e l’altra fanno foto ai bambini e inciampano nei giocattoli sparsi sul pavimento senza imprecare,  sanno tutto della doppia pesata e hanno le giacche macchiate di rigurgiti). “Sola: gravata di tutte le responsabilità, nei confronti di te stessa e di tuo figlio, la maggior parte delle volte dentro un appartamento in cui non conosci nemmeno i vicini di casa, chiusa dentro a doppia mandata, e il tuo compagno lavora quanto te, fa quello che può, ma è l’unico adulto con cui condividere la responsabilità, educativa e concreta, quell’humus sociale per il quale i bambini erano condivisi da tutti è sparito. In questo modo diventa davvero un peso difficile da sostenere, manca l’aria, nei cortili dei palazzi non si può nemmeno giocare a pallone” (“un bacetto pure a me per favore”, Beatrice Lorenzin tende le braccia al suo bambino, lei stasera finirà tardi, li rivedrà domattina alle cinque, quando il fratello sveglierà la sorella).

 

“Ho provato a fare il mio, ho messo un tassellino, che è il piano nazionale sulla fertilità, inizierà anche una campagna nelle scuole, ci sarà un Fertility Day, voglio che finalmente le diciottenni sappiano la verità su quel che succede al loro corpo, voglio che anche i ragazzi sappiano che cos’è la fertilità, perché li riguarda moltissimo, e la libertà di scegliere passa attraverso la consapevolezza di chi siamo, e vorrei aiutare gli adolescenti, perché i dati sono allarmanti: sulle malattie sessualmente trasmesse, sugli abusi sessuali, e di alcol e droga. Noi guardavamo ‘Il tempo delle mele’, le adolescenti oggi guardano YouPorn, non do giudizi morali ma questi dati fanno molta paura”.

 

[**Video_box_2**]Beatrice Lorenzin, femminista contraria all’utero in affitto, solidale con le femministe di Parigi che ieri hanno chiesto che diventi reato universale (“E’ il mercato che si impossessa della vita delle persone, è la forza del più ricco esercitata in danno del più povero, è la frantumazione di ogni etica, e l’incubo peggiore per una donna è vedersi strappare il figlio appena partorito”), vorrebbe accanto alle politiche attive una profonda riflessione. “Credo che questa riflessione possano farla solo le donne, perché è una cosa che parte da noi,  dal nostro corpo, sono le nostre scelte, i nostri modelli, e  il neo femminismo è questo: riflettere su chi siamo diventate, elaborare questa crescita, e quella degli uomini accanto a noi. La maternità è un atto di grandissima libertà e di potenza, e dobbiamo capire, ma non ci siamo ancora riuscite, che questa potenza ci rende molto più forti, concrete, pragmatiche, accoglienti, differenti”. E’ l’indicibile fortuna di essere donne, di cui parla la femminista Luisa Muraro, mescolata a tutti i desideri di un nuovo millennio, in cui le trasformazioni sociali si intrecciano all’interesse di una nazione, alla sua sopravvivenza, al suo futuro, anche al suo disinteresse, abbandono, alla mancanza di vitalità. E al desiderio che si fa largo, che è irrefrenabile.

 

“Io ho desiderato tantissimo questa maternità, per anni, ho sofferto per domande stupide, anche per chi mi chiedeva: ma perché non fai figli?, ho subito anche attacchi televisivi perché non avevo ancora figli, e poi su internet hanno augurato la morte ai miei bambini appena nati, hanno detto che erano sgorbi: credo che ci sia qualcosa di ancestrale e di brutale nei confronti delle donne, e purtroppo non soltanto da parte degli uomini. Sono indignata per gli attacchi volgari e violenti nei confronti di Giorgia Meloni che ha annunciato la sua gravidanza, mi vergogno per questa ironia orribile. Le ho telefonato, le ho detto di non leggere niente. Ma venite a dircelo in faccia, vigliacchi”.

  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.