2016, fuga dall'università italiana. I numeri in un report studentesco
Sono sempre più gli italiani che inseguono i propri sogni mettendo in valigia il proprio titolo di studio e vanno fuori dall’Italia, non si sa se per uscirvi definitivamente o per rientrarci.
Oggi l’associazione studentesca StudiCentro presenterà un report che racconta le tre fughe, spesso silenziose, che rischiano di impoverire il nostro paese delle forze più fresche, principalmente per mancanza di opportunità.
La prima è la fuga dalle università: mentre in Europa e nel mondo crescono le domande per accedere all’istruzione universitaria, in Italia negli ultimi 10 anni si è registrato un calo di più del 20 per cento delle immatricolazioni. Tante le ragioni dietro a questa scelta, la prima è sicuramente di tipo economico, ma sono da considerare anche il calo demografico dimostrato martedì scorso su questo giornale dal professore Gian Carlo Blangiardo, il ridotto interesse dei giovani per l’istruzione univesitaria rispetto al lavoro immediato, l’aumento delle rette e la ricerca all’estero (per chi se lo può permettere) di atenei di maggior prestigio, considerato che l’Italia non esprime università al vertice delle diverse classifiche di ranking internazionale.
La seconda fuga è quella dal meridione: secondo i dati di Banca d’Italia sono quantificabili su una scala di milioni le persone che si muovono dal sud verso il nord in questi ultimi decenni incentivati dal migliore tasso di occupazione dei laureati (al nord del 52,5 per cento contro il del 35 per cento sud), dalla miglior prospettiva salariale (ad un anno dalla laurea i ragazzi del nord hanno, in media, un salario più alto del 24 per cento rispetto ai colleghi del sud), nonché da condizioni migliori in termini di raccordo tra università e mondo del lavoro.
La terza fuga raccontata dal report è quella degli italiani tout court: secondo la Fondazione Migrantes, sono più di 101.000 i nostri connazionali che hanno deciso di espatriare nel solo 2014, in aumento del 7,6 per cento rispetto al 2013.
Con una fuga di cervelli che corre all’inverosimile rappresentata dal 13 per cento dei dottori di ricerca che decide di andare all’estero per mettere a frutto quanto assimilato (e quasi sempre pagato dall’erario) in Italia. Una fuga di cervelli calibrata scientificamente, se si pensa agli ultimi dati della Commissione Europea che danno gli italiani in vetta alla classifica dei partecipanti a Erasmus+ a cui viene proposto un lavoro dall’impresa una volta terminato il periodo del progetto dove ha svolto il tirocinio.
[**Video_box_2**]Queste fughe possono essere arginate sicuramente mettendo in pratica strumenti come il potenziamento del diritto allo studio, gli incentivi per soggetti privati per investire e collaborare con gli atenei, nonché potenziando strumenti già esistenti per far tornare sui propri passi i “cervelli”. Ma senza una visione strategica a lungo periodo e soprattutto senza un paese che decide di puntare nel suo futuro investendoci su, tutte le misure e le buone parole di questo mondo saranno solo gattopardesche.
Il Foglio sportivo - in corpore sano