A Roma il M5s è un insieme di Rosselle O'Hara: #vinciamonoi e ci pensiamo poi
Roma. E’ il giorno del “Roma ai romani” a Cinque Stelle, e anche il giorno della presentazione ufficiale dei candidati sindaci usciti dalle “comunarie” (andate in scena sul blog di Beppe Grillo). Sei uomini (e sei donne), sei facce pronte a sfidarsi tra una settimana, sempre sul web, quando si tratterà di scegliere il vero e unico candidato. Intanto, sotto gli occhi di Roberta Lombardi, nume tutelare, e mentre l’altro nume tutelare Alessandro Di Battista (che è come fosse un candidato sindaco ombra, solo che non si può candidare) parla alla videochat di Repubblica on line, raccontando di quando lui e Beppe e Grillo si erano trovati in disaccordo in tema di immigrazione, sfilano a Montecitorio gli ex consiglieri comunali e gli attivisti che, dicono, non hanno “alcun timore di governare Roma”, anzi “vogliono governarla”, e si sentono “pronti per la sfida” (ed è come se dalle loro parole fosse sparita ogni ansia, a un certo punto, mentre gli astanti si domandano: e il debito? E il traffico? E la malagestione?).
Le parole d’ordine disegnano, con whishful thinking, il migliore dei mondi possibili, e i sei Candide sembrano essersi autoconvinti che volere è potere, anche se, da fuori, tutti sono convinti che in realtà il M5s non voglia poi così tanto vincere, visti i problemi che il prossimo sindaco si troverà sul tavolo. Ma oggi è il giorno dell’automotivazione: “Condivisione”, dicono i candidati (cioè il programma condiviso, votato on line dagli attivisti); “idee nuove”, ripetono a ogni intervento, oltre a enumerare gli “sprechi” altrui (dei predecessori). Si sentono “pazzi sognatori”, e chissà se la Roma dei prefetti e del 2016 è abbastanza sognatrice, commissariata com’è.
C’è intanto Virginia Raggi, ex consigliera e avvocato, c’è Marcello De Vito, che nel 2013 già aveva corso da candidato sindaco, e ci sono Annalisa Bernabei, la più giovane, studentessa di Ingegneria che vorrebbe far rinascere “la città più bella del mondo”, oltre a Enrico Stefano, Paolo Ferrara e Teresa Zotta.
Qualcuno si butta sul tema trasporti (di “opere trasportisticamente inadeguate” parla Marcello De Vito, e il lessico pare improvvisamente tutto); qualcuno vorrebbe applicare al governo di Roma il “buon senso” e l’impegno con cui si gestisce “una famiglia” (Virginia Raggi), tutti sono convinti di poter capitalizzare quel che gli altri partiti hanno perso, a livello di credibilità, dopo “Mafia Capitale”. E infatti Paola Taverna, la senatrice mattatrice dei talk-show, già stornellista, dice che i “morti che camminano”, quelli di cui parlava Beppe Grillo ai tempi dello Tsunami tour, sono belli-che-sepolti, e loro, i Cinque Stelle all’arrembaggio del Campidoglio, si affrettano a dire che, invece dei morti, si vedranno in Comune i semplici cittadini (sempre affidandosi, dicono, al programma condiviso da mettere in pratica).
[**Video_box_2**]E i poteri forti? E le municipalizzate? E i tassisti? Ci penseremo domani, sembra essere il retropensiero delle nuove Rossella O’Hara di Roma Capitale (uomini e donne, tutti un po’ Rossella O’Hara). “Solo con i nostri dirigenti onesti possiamo invertire la rotta”, dice Raggi, “dall’esterno ci accusano di non aver esperienza” ma se “la macchina si è inceppata gravemente” solo i cittadini semplici possono rimetterla in moto. “Cambiare questa città è possibile”, dice Teresa Zotta, e la mente va all’“altro mondo possibile” delle utopiche kermesse no-global d’antan (Porto Alegre e dintorni). Solo che poi Roma è un’altra cosa, e non si sa se basterà la “semaforistica intelligente” di cui parla De Vito a farla risorgere dalla ceneri.
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