Ma quale egemonia culturale, qui c'è solo una banale lotta di potere
Fin da adolescente mi innamorai delle parole, delle locuzioni, volevo scoprire i mondi sconosciuti che c’erano dentro e dietro di loro. Nei giorni scorsi ne ho colte due che mi hanno colpito. La prima l’ha usata Claudio Cerasa (Foglio), la sintetizzo a modo mio: si sta creando un think tank per trasformare il renzismo in un’egemonia culturale. Sull’altra sponda – preceduto da un fondo domenicale dalla implacabile logica economica – di Ferruccio de Bortoli, Ernesto Galli della Loggia ha argomentato da par suo: l’egemonia culturale abbisogna di un’idea forte. Nulla di nuovo sotto il cielo di Roma e di Milano. Su queste diatribe di potere fra l’establishment politico e quello economico ci ho passato la giovinezza e l’età adulta, sono giunto persino a schierarmi fra democrazia e comunismo. Poi l’essere apòta mi venne in soccorso, non dovetti più scegliere: era nato il peggio del peggio, il “cattocomunismo”. Finalmente il Muro cadde, venne la mitica stagione di Mani pulite, nacque la Seconda Repubblica. Arrivò Berlusconi, e cambiò la politica come Sacchi aveva cambiato il calcio. Adottò in politica un geniale 4-4-2: difesa di ferro a forma di diagonale a quattro (mettendo spesso in fuorigioco gli avversari), centrocampo a rombo, due punte centrali vicine fra di loro. Berlusconi era un leader di tipo “paranoico”, secondo la classificazione di Kets de Vries: mai se ne era visto uno così fra i politici, occorrerà attendere Renzi per trovare un altro come lui, con una sola differenza: usano il dopocena in modo diverso.
Non me ne vogliano Cerasa e Galli della Loggia, ma la locuzione “egemonia culturale” applicata a costoro mi pare eccessiva, trattandosi di una banale lotta di potere, senza alcun retroterra. Un tempo la politica era al vertice del potere, a lei facevano riferimento tutti gli altri poteri. Ora non più. Il potere, quello vero, è passato ai mega banchieri, ai ceo: questi si avvalgono dei regolatori come loro sacerdoti; a scendere l’operatività è assegnata ai politici, con gli alti burocrati come controllori del rispetto delle norme e delle procedure. I più fragili della catena gerarchica sono proprio i politici che, a differenza di tutti gli altri che scalano il potere attraverso processi di cooptazione ben oleati, hanno la maledizione di dover essere eletti. La loro è una vita infelice, per essere eletti devono fare i gradassi, tipo “non prendiamo lezioni da nessuno”, dicono. In realtà prendono non lezioni, ma ordini. Questo modello è iniziato con Berlusconi, che fu il primo a ricevere – per governare telecomandato – una check list. La rispettò scrupolosamente ma, malgrado l’impegno profuso, fu licenziato in tronco (non si riprese più, divenne vegetariano) sostituito da un podestà straniero che parlava italiano molto bene e sapeva fare bene i compiti a casa. Alle urne gli italiani lo bocciarono. L’establishment nominò Letta e non reagì quando Renzi gli sottrasse con destrezza la campanella. Questi vinse alla grande le europee, fu accettato con curiosità. Capimmo che la nuova democrazia era questa: il popolo può, con il voto, mandare via il premier di turno (come è avvenuto con il podestà) ma deve votare come chiede l’establishment. Il caso Grecia è lì a dimostrarlo, Tsipras per rimanere al potere ha dovuto autolobotomizzarsi, altrimenti avrebbe fatto la fine di Varoufakis. Politici trasformati in maggiordomi, volontà popolare bypassata: ecco il risultato di questo modello.
[**Video_box_2**]Secondo Cerasa, oggi “Renzi è l’establishment”, ma se così fosse il Corriere starebbe conducendo una battaglia di retroguardia. Ma è proprio così? Essendo intellettualmente fuori da tutti i giochi di costoro, mi è indifferente se vince l’uno o l’altro, i tempi di sinistra-destra sono ormai lontani, oggi la lotta mortale è tra sistema e antisistema. Per capire cosa succederà, preferisco guardare alle primarie americane. Mi è rimasta impressa una frase di Angelo Codevilla, che anticipo rispetto al Cameo di domani: “L’ala sinistra del ‘Partito della Nazione’ (establishment Democrat e Repubblicano) ha ancora molto potere ma nulla può contro il sentimento di ribellione che pervade gli Stati Uniti”. E’ a questo sentimento di ribellione verso quelli che il potere lo detengono sul serio, non ai loro maggiordomi, che come studioso di leadership sono interessato. Siamo alle prime battute di una guerra vera, non da operetta.
Riccardo Ruggeri
Pubblicato su Italia Oggi, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi
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