John Elkann e Carlo De Benedetti

Il grande abbraccio tra Elkann e De Benedetti

Michele Masneri
Ci siamo. Repubblica e Stampa preparano la loro unione civile e sono al lavoro per una sinergia. Nasce un nuovo gruppo editoriale? Unioni, intrecci e destini incrociati di due grandi famiglie.

Non proprio un matrimonio, forse più un’unione civile, con fecondazione lunga e molto assistita, e stepchild ideali tra zii e nipoti. Un avvicinamento tra due storiche famiglie, gli Elkann-Agnelli e i De Benedetti è il futuro forse più prossimo che attende l’editoria italiana, perché, come risulta al Foglio, le trattative per un avvicinamento tra la ItEdi, editore della Stampa, e il gruppo Espresso di Carlo De Benedetti, vedono addirittura gli avvocati al lavoro. Non sarà una fusione, almeno non subito, sarà un’insieme di sinergie, un’ottimizzazione dei costi, un avvicinamento strategico tra due gruppi editoriali che non si sa quando ma sono desinati a giurarsi presto amore eterno. I De Benedetti e gli Agnelli. Se vogliamo, un’unione storica.

 

Nel caso specifico, a voler continuare con la metafora, trattasi di utero non esotico ma tutto torinese in questa famiglia arcobaleno, con gestazione d’epoca, almeno dei primi del Novecento, per queste dynasty che hanno segnato pil e immaginario nazionale. Anche vicini di casa, a Corso Oporto (poi Matteotti), dove oggi è rimasta la finanziaria di famiglia, Exor, nel palazzotto che Truman Capote nel 1969 su Vogue descriveva come “splendore italiano”, tra “il servizio giornaliero di lavanderia, i tasti da premere per convocare all’istante il personale in livrea e le stanze invernali rivestite di velluto ma accese di fioriture estive”. Ma prima, negli anni Trenta, tutto molto meno glamour, erano i beati anni del castigo di “Vestivamo alla marinara”, il libro di Susanna, e i lussi morigerati degli Agnelli bambini, vestiti sempre di grigio e bullizzati dalle bambinaie cattive e dalle cameriere che osavano innamorarsi. Morigerati, ma sempre lussi, nell’indirizzo più conteso della città.

 

Sotto casa Agnelli, a pigione, stava infatti il vecchio ingegner De Benedetti, padre di Carlo, grande imprenditore, aveva fondato la Compagnia Italiana Tubi Metallici e come supremo status aveva affittato un appartamento dalla casa viceregnante torinese. E i rapporti erano torinesi, su rigide distinzioni di casta e pianerottolo, tipo Downton Abbey sulla Dora Baltea. Un signore esperto di quel condominio racconta di Umberto ragazzo che scendeva le scale e andava dal vecchio Ingegner De Benedetti esperto di tubi e ingranaggi a chiedergli consiglio su una moto da comprare, indeciso tra due modelli, e lì discussioni di ore dell’anziano guru: “questa ha i cilindri orizzontali e il raffreddamento ad aria, quest’altra ha una ripresa migliore, e consuma meno”, e dopo ore di discussioni il piccolo Umberto usciva e se le comprava entrambe, le moto. E in questa duplicità di opzioni motoristiche stava un mondo, mondo di mezzo tra le ricchezze dei De Benedetti e la regalità agnelliana. Molti anni dopo, Umberto, compagno di scuola di Cdb, fu colui che portò il compagno, nel frattempo diventato grande imprenditore in proprio, alla Fiat.

 

E lì ci fu un altro climax di questa relazione complicata, coi famosi cento giorni; quando Cdb divenne amministratore delegato, amministratore delegato coi pieni poteri e soprattutto una quota dell’azienda, quando ancora le stock option non osavano pronunciare il loro nome – entrò cedendo agli Agnelli il 60 per cento della sua Gilardini (componenti per auto) in cambio del 5 per cento del Lingotto; ma fu talmente efficiente che il suo  governo durò appunto da marzo ad agosto, interrotto assai bruscamente. All’epoca gli addetti ai livori – guidati da Cesare Romiti – dissero che Cdb si era talmente innamorato dell’azienda da volerla tutta per sé, preparando in realtà una scalata rastrellando azioni di nascosto.

 

[**Video_box_2**]Corsi e ricorsi, era esattamente quarant’anni fa, primavera 1976, proprio mentre nasceva a New York John Elkann, e paiono secoli, e chissà cosa direbbe oggi l’Avvocato di una fusione, o di un inizio di fusione, tra la sua Stampa e il “giornale cognato”, la Repubblica, del principe Caracciolo e poi dell’ex inquilino Cdb. “Si rivolterebbe nella tomba”, dice con un sorriso un altro torinese, perché, a parte una formalità di base, i rapporti tra Avvocato e Ingegnere son sempre stati spigolosi, con l’Ingegnere secondo qualcuno all’inseguimento anche psicologico dell’Avvocato; con un gusto surrogato per alcuni giocattoli nautici, con l’Avvocato che aveva dato l’avvio a scafi dei più bizzarri, e l’Ingegnere che inseguiva, col suo Itaska rompighiaccio (oggi da anni in vendita), su cui spesso sequestrava incolpevoli giornalisti del gruppo; o come il più recente veliero “Adesso”, che troneggia in effigie nello studio megagalattico del torrione Espresso sulla via Cristoforo Colombo, verso il mare.

 

“Adesso”, si chiama il veliero, mentre l’Espresso (inteso come settimanale), a partire da domenica prossima uscirà come allegato domenicale della Repubblica, in Sardegna, e chissà che questo non sia un primo passo verso la pensione (chissà cosa avrebbe detto, l’Avvocato). “Adesso” sembra peraltro un claim renziano, ma si tratta di un 35 metri disegnato da German Frers, e interni di Gae Aulenti, una delle arredatrici preferite da Gianni (fece gli interni di una casa milanese, in cui troneggiava un branco di pecore, o agnelli, a grandezza naturale, sculture di Claude e Xavier Lalanne vicino a un tavolo da fabbrica originale Fiat).

 

Che ironie ineguagliate, anche nel decoro. Apparteneva a un mondo bipolare e cavalleresco, l’Avvocato, e chi sostiene oggi i rivoltamenti nella tomba non coglie forse il mutamento d’epoca, la fine non solo del Regno torinese ma anche di un mondo bipolare. “La nostra valuta circolava sotto forma di lucenti monete d’oro, assicurando così la sua immutabilità. Ognuno sapeva quanto possedeva o quanto gli spettava, che cos’era permesso e che cos’era proibito. Ogni cosa aveva una sua norma, un peso e una misura precisi”, scriveva Stephan Zweig, romanziere del rimpianto austrungarico, in “Il mondo di ieri. Ricordo di un europeo”, e l’età torinese degli Agnelli pareva l’Austria Felix degli Asburgo. Con duelli e codici d’onore e disonore: pare Ottocento ma era il 1988, quando Cdb tentò, senza riuscire, l’assalto alla Société Générale de Belgique, primo gruppo belga, e una leggenda nera sostiene che proprio l’Avvocato rosicando contribuì in proprio alla débâcle del conterraneo, non tollerando torinesi più ganzi di lui.

 

 

Altri tempi, signora mia: oggi John, che pure con Cdb intrattiene rapporti assai torinesi (i due si vedono due volte l’anno, all’assemblea della Banca d’Italia e a quella di Confindustria), è diventato grande, ha l’età di suo nonno quando prese il comando dopo la supplenza di Vittorio Valletta, solo che a differenza del nonno non ha trascorso i suoi primi 40 anni in Costa Azzurra.

 

Ne ha ereditato la passione per i giornali (la passione e i contatti: siede nel board di News Corp, la società di Rupert Murdoch, è amico di Michael Bloomberg, è primo azionista dell’Economist).

 

Soprattutto, a differenza del nonno che era editorialmente un romantico il nipote, che è Ingegnere e non Avvocato, vuole anche guadagnarci, coi giornali (in questo avendo preso più cromosomi forse da casa Caracciolo, editore “fortunato” secondo una bella biografia, ma soprattutto capace, nonostante il blasone). E non ha tentazioni massimaliste: se il nonno adorava usare i direttori come personali agenzie di stampa, se seguiva le primarie americane negli studi della Cbs, se sospirava “ah, se avessi potuto non costruire macchine, avrei fatto il giornalista”, il non più giovane Elkann è meno madame Bovary della rotativa; i giornali se li compra e guarda soprattutto i bilanci, e da lì, dai bilanci partirebbe volentieri se davvero volesse fare questa fusione, seguirebbe forse il modello di successo già sperimentato col gruppo ItEdi (Italiana Editrice) fondendo La Stampa col Secolo XIX, rivedendo le concessioni della pubblicità, l’integrazione carta-web, i tagli dei costi, tutte cose che l’Avvocato ignorava o disprezzava. L’Elkann post-romantico il modello ItEdi l’avrebbe replicato volentieri acquistando i giornali del gruppo Riffeser (La Nazione-Il Giorno-Il Resto del Carlino), che pure era stata una tentazione, o portando la ItEdi nella pancia pencolante del Corriere – ipotesi sfumata, e non per volere del giovane Elkann, ma degli altri soci milanesi. E tra le voci serpeggia anche il dubbio che questa ipotesi di unione civile tra cognati, vera o verosimile, servirebbe anche a mandare un messaggio agli amici di via Solferino, nel frattempo cartolarizzata, indirizzo dove un tempo gli Agnelli contavano senza investire e ora investono senza contare molto – attenzione, perché se usciamo noi non si sa come va a finire (e sull’uscire è ormai questione di tempi).

 

E i tempi son cambiati, non c’è dubbio, e per quel che può valere, già Elkann e De Benedetti son tornati a coabitare, non nel vecchio palazzo torinese ma nel nuovo Fondo Italiano per l’Efficienza Energetica (Fiee), un private equity nuovo di zecca, e d’accordo, Agnelli è Andrea, erede di Umberto, e De Benedetti è Sorgenia (la società di Cdb che si occupa dell’energia, e nel fondo siede il suo amministratore delegato), e però  tutto fa brodo in questo romanzone torinese d’appendice. Che poi se tornasse, l’Avvocato, vedrebbe una Fiat in ottima salute e americana, una Ferrari senza Montezemolo, a capo nel frattempo di una linea aerea araba, Mondadori fusa con Rizzoli, l’Espresso senza Espresso, il Corriere in affitto. In questo mondo capovolto, una Stampa fusa con Repubblica, nell’epoca delle grandi unioni e delle grandi alleanze (avete presente Mondazzoli?) non sarebbe certo la cosa più sconvolgente. Non si sa quando e non si sa come ma l’operazione “Allargo Fochetti” è ormai partita e per capirne qualcosa di più è solo questione di tempo, forse di giorni.