Sergio Ricossa

Ricordo di Ricossa, un liberale puro e umanista che “dovevo conoscere”

Francesco Forte
Era un sacerdote dell’economia e della filosofia liberale, fondata su valori profondi, spesso controcorrente, nello stesso pensiero liberale laico come quello del diritto dell’embrione alla vita. Criticava anche i grandi imprenditori che dominavano l’intreccio politica-economia-editoria, ma soprattutto coloro che, in un modo o nell’altro, li rifornivano di argomentazioni economiche.

    Sergio Ricossa era un liberale umanistico che io ho cominciato a conoscere a Torino nel 1961 come econometrico ed esperto di matrici delle interdipendenze strutturali. Quando lo incontrai, la prima volta, era da poco professore di Politica economica nella facoltà di Economia dell’Università di Torino, la sua alma mater in cui si era laureato e aveva fatto ricerca. Io invece arrivavo dall’Università della Virginia, dove avevo insegnato. Ero stato chiamato a Scienza delle finanze nelle facoltà di Giurisprudenza e Scienze politiche di Torino, su designazione di Luigi Einaudi, professore a vita, che aveva scelto un successore quell’estate, fra i vincitori del concorso appena concluso. Io avevo fatto la mia carriera italiana a Pavia e Milano. Succedere a Einaudi era il massimo onore che potessi desiderare.

     

    Il mio incontro con Ricossa era stato combinato da un amico comune che pensava che “dovevamo conoscerci”. Si sapeva che Ricossa era un liberale puro. Allora, ma anche in seguito e sino alla caduta della prima Repubblica, i liberali non erano di moda in Italia. In parlamento erano una minuscola pattuglia, nelle università appartenevano, di solito, alle passate generazioni. L’economia di moda era keynesiana. Io ero un liberal socialista e la scelta di Einaudi aveva suscitato scalpore. Ma venivo dal Department of economics dell’Università della Virginia, roccaforte  liberale nel senso europeo. Sostenevo una teoria della finanza pubblica – allora poco considerata – secondo cui le imposte sono il prezzo dei servizi pubblici e solo secondariamente strumenti di fiscal policy. Ricossa mi scrutava un po’ come si osserva uno strano animale, di specie incognita. Da parte mia fui sorpreso che l’economista delle matrici fosse un liberale quasi filosofico, con una ideologia laica, ma simile a quella di mio zio Carlo Gray, filosofo del diritto liberale rosminiano. In seguito, ho sempre ricevuto da Ricossa i libri che lui scriveva, in alcuni dei quali mi menzionava criticamente, ma con garbo. Oramai era diventato un sacerdote dell’economia e della filosofia liberale, fondata su valori profondi, spesso controcorrente, nello stesso pensiero liberale laico come quello del diritto dell’embrione alla vita. Criticava anche i grandi imprenditori che dominavano l’intreccio politica-economia-editoria, ma soprattutto coloro che, in un modo o nell’altro, li rifornivano di argomentazioni economiche. Li aveva denominati “I fuochisti della vaporiera. Gli economisti del consenso” (Editoria Nuova, 1978), prendendo spunto dal titolo del libro di Ernesto Rossi, “I padroni del vapore”, che criticava i grandi gruppi dotati di potere politico-economico.

     

    [**Video_box_2**]Col tempo, Ricossa – che scriveva in modo nitido, chiaro, spesso amaramente ironico – era diventato un pessimista scettico. Provava amarezza non per sé, ma per il destino dell’Italia, che amava, e che era, insieme all’idea liberale, la ragione per cui scriveva di economia. Ecco così che arriva a spiegare “Come si manda in rovina un paese”, libro edito nel 2011 nel “Manuale di sopravvivenza ad uso degli italiani onesti” (Rubbettino). Il suo scetticismo coinvolgeva anche gli economisti e l’utilità della scienza economica. Lo si vede da “La fine dell’economia” (SugarCo, 1986) a da “Maledetti economisti. Le idiozie di una scienza inesistente” (Rizzoli, 1996). Ma intanto scriveva “Impariamo l’economia. Idee, princìpi, teorie”, (Rizzoli, 1988) e “Cento trame di classici dell’economia” (Rizzoli, 1991). Il Vangelo liberale laico, valoriale, di Sergio Ricossa è compendiato in “Vivere è scegliere”. Scritti di libertà, edito dalla Fondazione Achille e Giulia Boroli, nel 2005 a Milano. Si tratta di una raccolta di scritti tratti dalle sue opere, a cura di Paolo Del Debbio. Giulia Boroli era Giulia Gray, figlia di un cugino di mia mamma. Paolo Del Debbio è un filosofo e sociologo liberale cattolico, che ha lavorato nel campo economico con me e ha preso parecchi libri di Carlo Gray dalla mia biblioteca. Io e Ricossa siamo più vicini di quel che io pensassi.